Il Messaggero, 14 settembre 2020
L’assalto dei ministeri ai fondi europei
A leggere in controluce le centinaia di pagine di progetti presentati dai ministeri per ottenere una quota dei 209 miliardi europei, si nota un certo entusiasmo. Dopo anni di vacche magre, di tagli draconiani ai bilanci, di manovre finanziarie costruite sulla riduzione delle spese per l’acquisto di beni e servizi, la pioggia di denaro europeo è diventata come il miraggio di un pozzo nel deserto per un viandante assetato. Insomma, è cominciata una corsa disperata a bere, anche solo qualche goccia di quell’acqua. Prendiamo il ministero degli Affari Esteri. La Farnesina vorrebbe, nell’anno del Signore 2020, 11,25 milioni di euro per comprare dei pc, dei computer, dotati di web cam, casse audio e microfoni integrati. E solo questo dovrebbe bastare a dare il senso di quanto vetusta deve essere la dotazione delle feluche. Che non devono passarsela bene negli uffici della Farnesina stessa e in quelli di Via Boston, se il ministero è costretto a presentare una richiesta di soli 7 milioni di euro a carico della dote europea per finanziare, tra le altre cose, l’installazione di condizionatori d’aria. Ovviamente «green», la parola più citata nel mega documento che raccoglie gli oltre 600 progetti presentati dai ministeri. Che, va detto, si son dati da fare, se è vero che a fronte di 209 (duecentonove) miliardi di euro teoricamente disponibili, sono riusciti a presentare richieste per 677 miliardi: tre volte e mezzo lo stanziamento a favore dell’Italia. Sarà per questo che il Ciae, il Comitato interministeriale per gli Affari economici, l’organo incaricato di vagliare i progetti, ha dovuto dettare delle linee guida. In effetti la cosa non torna tanto. «Ma se è il governo a dover presentare i progetti all’Europa, a chi sono rivolte le linee guida», si è domandato sul Sole 24 Ore un conoscitore profondo di questi meccanismi come un ex ministro dell’Economia, ovvero Giovanni Tria.
IL COVID FARÀ MALE?
Come dargli torto, se perfino il ministero dell’Economia, solitamente censore con il suo braccio armato della Ragioneria generale delle altrui richieste di fondi, non ha resistito a partecipare all’assalto. Così, tra le altre, ha presentato una richiesta di soli 700 mila euro per poter costruire una banca dati per analizzare l’impatto fin qui del Covid sulla performance delle imprese. Che, detto a spanne, positivo non deve essere stato.
IL BOLLINO MASCETTI
C’è poi il ministero dello Sviluppo che chiede 750 mila euro per «individuare un indicatore obiettivamente valutabile e con funzione di trasparenza verso il mercato ed il consumatore, offrirne la massima pubblicità, che nell’ottica del bilancio, evidenzi le esternalità green positive e negative delle imprese, elaborando un risultato netto di gestione, dal quale derivi uno scoring, cd bollino verde, da pubblicarsi in apposita sezione del registro delle imprese con efficacia erga omnes». Il conte Lello Mascetti non avrebbe saputo spiegarlo meglio. C’è da dire che nell’elenco di progetti creativi ce ne sono tanti. E tra questi qualcuno che lascia anche un po’ di inquietudine.
Come quello presentato dall’avvocatura dello Stato che prevede la «creazione di una piattaforma servizi che utilizza algoritmi predittivi advanced analytics di machine learning e deep learning, opportunamente allenati ed alimentati con dati relativi a precedenti difese, per prevedere le probabilità di successo di un procedimento giudiziario e ottimizzare la strategia processuale. Tradotto, gli avvocati dello Stato potranno chiedere a una sorta di Siri: «Questa causa la vinco oppure no?», e se la risposta fosse no, allora forse meglio arrendersi subito.
La parola «green» si diceva. Una sorta di password per accedere al programma europeo. Così, per chiedere 50 milioni per dotare Taranto di un acquario, si specifica che però sarà «green». In una qualsiasi manovra finanziaria di uno qualsiasi degli ultimi venti anni, questa sarebbe stata definita una «misura microsettoriale», quelle che in gergo giornalistico sono state in genere definite come mancette. Solo che l’Europa non è la sala del Mappamondo, l’aula al quarto piano di Montecitorio dove vengono votati gli emendamenti discussi nottetempo nei corridoi del Palazzo e alla buvette. Al termine della corsa dei ministeri ai fondi del Recovery, non c’è l’acqua ma solo sabbia.