Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  settembre 11 Venerdì calendario

Maurizio de Giovanni su "Troppo freddo per settembre" (Einaudi)

Strani tipi, i personaggi.
Per carità, la maggior parte di loro se ne sta buona buona e fa il suo mestiere con coscienza e abnegazione.
I personaggi vengono quando li chiami, al massimo devi andarli a cercare un po’ in giro, ma poi fanno quello che gli chiedi senza fare tante storie. Ricciardi, per dirne uno, è piuttosto riservato e torna quando vai nei posti che frequenta, un determinato caffè, il teatro, una sacrestia; o puoi provare a incrociarlo per strada, è uno metodico e fa sempre gli stessi percorsi. I Bastardi se ne stanno chiusi in una stanza in fondo alla testa, fanno un sacco di rumore perché litigano ma non escono finché non li vai a prendere, quindi tutto sommato non danno fastidio. Sara, poi, sa essere inquietante perché è come quegli sguardi che ti senti addosso e non sai da dove vengono, un sottile inspiegabile disagio che ti spieghi solo quando decidi di metterti ad ascoltarla. Situazioni gestibili, insomma, anche se con qualche cautela.
La signora Settembre Gelsomina detta Mina, assistente sociale, è invece decisamente maleducata.

L’ho incontrata per la prima volta alcuni anni fa, abbastanzacasualmente. Il caro Antonio Sellerio, straordinario editore di straordinari autori tra i quali il più grande narratore italiano degli ultimi quarant’anni (davvero c’è bisogno che vi dica chi è?), mi chiese di partecipare a un paio delle sue belle antologie. I miei personaggi erano già accasati presso Einaudi e Rizzoli e non mi pareva elegante scomodarli, quindi mi dissi: e se ne inventassi uno nuovo? La cosa era stimolante, perché mi avrebbe consentito di cambiare tono e scrivere finalmente commedia: dovete sapere che un autore napoletano ha sempre la commedia acquattata dentro come una belva feroce, pronta a venir fuori famelica. È il tono narrativo primario di questa disperata, chiassosa e colorata città, quello che mantiene intatti l’atmosfera e il suono dei quartieri popolari.
Fu allora che mi si presentò davanti Mina, proprio nel pieno del mio casting mentale di ricerca del personaggio da offrire ai racconti per Sellerio. Devo dire che quando vuole la signora sa essere affascinante. Zigomi alti, occhi e capelli corvini, lineamenti regolari e un corpo che sembra un irraggiungibile modello per una pornostar: ma gli occhiali da vista e l’atteggiamento tutt’altro che seduttivo, anzi decisamente respingente, producono quel contrasto che rende inevitabilmente intrigante raccontare un personaggio. Alle sue spalle un piccolo esercito di figure primarie e secondarie, e lo spettacolare sfondo dei miei adorati Quartieri Spagnoli, uno scenario sedimentario e incasinato in cui ribollono, all’interno di un reticolo fittissimo di vicoli e palazzoni dalla statica incerta e di cortili meravigliosi, tutte le anime della città mondo in cui vivo.
Mi piacque, la signora. Non lo nego. E incautamente pensai: che sarà mai? Un paio di racconti e la mollo. Nessuno se ne accorgerà.
Non avevo fatto i conti con la maleducazione di Mina, e dei suoi amici. Avete presente quando invitate un’amica per un giorno nella vostra casa al mare, dai, vieni, un bagnetto e una cena e poi vai via, e quella non solo si presenta con tutta la famiglia, ma si accampa nella tavernetta e non se ne va più? Ecco, qualcosa del genere. Mina ha cominciato a rompere le scatole quasi subito, riproponendo dialoghi e incontri, figure e situazioni proprio quando avrei dovuto occuparmi di altro, fratturando architetture narrative delicate e spuntando all’improvviso nel bel mezzo di complicati delitti da ricostruire.
Venivano a galla, lei e il ginecologo di cui è aggressivamente innamorata e che maltratta in ogni modo, l’ex marito magistrato e il carabiniere da lui costantemente vessato, l’insopportabile madre costretta su una sedia a rotelle e le tre amiche streghe che vegliano su di lei; in maniera assolutamente incongrua si piazzavano al centro della mia angusta testa e mi facevano ridere con una cascata di battute, quando avrei dovuto invece provare a far commuovere i lettori.
Quando succede così c’è una sola cosa da fare: rassegnarsi. E ho superficialmente creduto di cavarmela scrivendo un romanzo, Dodici rose a Settembre. Ho pensato: adesso vi racconto tutto per bene, così mi lascerete in pace.
Una serie, sapete, non si decide a tavolino. Non basta il desiderio di un autore o la volontà di un editore a fare in modo che un personaggio e il suo mondo sopravvivano per più romanzi. Questo accade in televisione, quando si può pianificare un collegamento tra gli episodi, con ganci tra una puntata e l’altra e un unico filo narrativo. Ma i libri funzionano in modo diverso. Gli unici a determinare la prosecuzione di una serie sono i lettori, e quelli non li abbagli con una frase in sospeso o mollando un eroe appeso a un treno in attesa della fine della pubblicità. I lettori sono diffidenti e astuti, e prima di chiedere un seguito a una storia ci pensano bene. Merce rara, la fiducia dei lettori.
Be’, ci credereste? Quella maleducata di Mina e tutta la sgangherata banda che le fa da contorno sono riusciti a fregare anche i lettori. Credevo di aver chiuso la partita, e invece sono stato letteralmente sommerso da messaggi, sollecitazioni e perfino minacce, velate e neanche tanto velate, sulla necessità di sapere che altro succedeva dalle parti del Consultorio Quartieri Ovest, fatiscente posto di lavoro della suddetta assistente sociale. Non c’è stata presentazione, incontro, tavola rotonda o dibattito alla fine del quale io non sia stato avvicinato da qualcuno che, in tono imperioso e fissandomi freddamente, senza salutare mi abbia detto: e Mina? Quando esce, la prossima Mina?
Ecco quello che intendo quando dico che certi personaggi sono decisamente maleducati. Ti obbligano a raccontarli, e poi fanno di testa loro imbarcandosi in storie anomale e piene di vicoli e deviazioni, proprio come i Quartieri Spagnoli. E in un posto così assurdo può succedere che un nonno racconti una favola alla nipotina, e che la favola si avveri; che un carabiniere ligio al proprio dovere si chieda come sarebbe uccidere un magistrato; che un affiliato a un clan con ambizioni di potere si laurei e sogni un futuro da commercialista; che un ginecologo sia uguale a Kevin Costner; che un portinaio rugoso e con i capelli tinti sia un irresistibile latin lover; che una nobildonna si esprima esclusivamente con un turpiloquio flegreo; che un’anziana paraplegica abbia la fissazione del sesso come ascensore sociale. E molte altre assurdità del genere, che tuttavia messe insieme e frullate pare abbiano alla fine un senso comune, soprattutto se fa un freddo innaturale.
Lo so, essere permissivi con i maleducati è sbagliato perché poi si prendono il dito con tutta la mano. E sono certo, conoscendola, che Mina farà così. Però devo ammettere che non mi era mai capitato di divertirmi tanto durante la scrittura di un romanzo.
E anche questo, alla fine, dà un senso a questo mestiere. Non vi pare?