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 2020  settembre 13 Domenica calendario

Porta Pia vista dai francesi

Per i francesi, Porta Pia divenne un simbolo fondamentale. La maggioranza condannava la conquista armata della Città eterna. I bonapartisti sostenevano la convenzione franco-italiana firmata il 15 settembre 1864 (evacuazione delle truppe francesi in cambio della garanzia italiana di non fare Roma capitale), anche se il corpo del generale de Failly, tornato a Roma, aveva decimato i garibaldini a Mentana nel 1867 con il fucile Chassepot («che fece meraviglie»). I clericali legittimisti difendevano Pio IX. I cattolici liberali volevano trattative secondo il principio cavourriano della «libera Chiesa in libero Stato». Naturalmente i repubblicani moderati consideravano legittimi i diritti dell’Italia su Roma capitale e una minoranza di rivoluzionari spingeva alla presa di Roma con le armi. Nel Lazio, molti francesi difesero attivamente il Papa, a Viterbo e a Roma. Alcuni militari regolari avevano raggiunto, con l’autorizzazione del ministro francese della Guerra, la legione romana, creata per compensare la partenza delle forze francesi nel 1866. Altri erano entrati negli zuavi pontifici, accanto ad austro-tedeschi, olandesi, belgi, canadesi, svizzeri, italiani meridionali, polacchi, irlandesi, russi, ispanici, sudamericani, svedesi e anche un neozelandese. Vi erano, fra questi zuavi francesi, studenti romantici in cerca della Roma antica e pontificia, proprietari terrieri aristocratici legittimisti reazionari, contadini che si arruolavano per sei mesi, durante l’inverno, come per un pellegrinaggio, ex mercenari, e altri poveri e disoccupati. Si consideravano soldati della fede impegnati nella nona crociata per proteggere Pio IX, per il quale provavano un amore filiale e mistico, e per salvare Roma, la nuova Gerusalemme, attaccata dai rivoluzionari garibaldini e dagli infedeli «piemontesi». Tra di loro, il tenente colonnello Athanase de Charette, discendente di uno dei capi dell’insurrezione vandeana del 1793, incarnava senza dubbio il crociato più fanatizzato, pronto a dare la vita per il Papa: ferito a Castelfidardo nel 1860, era reduce di Mentana, ed era stato difensore di Viterbo prima di raggiungere Roma. Ma nel 1870 in Francia la priorità era la guerra con gli Stati tedeschi. Così i francesi in agosto evacuarono Civitavecchia per ragioni tanto militari (bisogno di truppe fresche sul fronte tedesco) quanto diplomatiche (ricerca del sostegno italiano) però senza abbandonare il Papa. Di fronte a ciò Firenze scelse una prudente neutralità, riservandosi di prendere militarmente Roma se le circostanze lo avessero permesso. 

LA DELUSIONE DI FIRENZE
La sconfitta di Napoleone III a Sedan e l’ascesa al potere dei repubblicani a Parigi il 4 settembre sbloccarono la situazione. Mentre la comunità internazionale accettava la presa di Roma da parte del Regno d’Italia, la Francia, in un contesto di guerra totale con i tedeschi, abbandonò il Papa. Il 10 settembre alle 13 e 25, l’ambasciatore italiano a Parigi Costantino Nigra telegrafava al ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta: «Jules Favre mi ha annunciato che nella questione romana il governo francese preferirebbe lasciarci fare e anche che ci lascerebbe fare con simpatia». 
Così i francesi accettarono la presa di Roma il 20 settembre, rimpatriando poi i loro zuavi (alcuni comunque avevano perso la vita difendendo Roma) per mandarli a combattere contro i tedeschi nella regione della Loira. In cambio, ricordando all’Italia il ruolo decisivo avuto dalla Francia nell’acquisizione della Lombardia nel 1859 e del Veneto nel 1866, chiesero l’aiuto militare-diplomatico del governo di Firenze, che rifiutò. Questo provocò, in una Francia umiliata e vinta, una profonda delusione. Alcuni mesi più tardi, Jules Favre confidò al nuovo ministro di Francia a Firenze, Horace de Choiseul-Praslin: «Non possiamo contare su un’amicizia sicura e sincera». Il ricordo di Porta Pia avrebbe avvelenato le relazioni franco-italiane per molti decenni.