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 2020  settembre 13 Domenica calendario

I problemi col gasdotto Nord Stream 2

A più di 50 anni dalla firma dei primi contratti di fornitura, il grande gioco del gas non sembra riservare nulla di nuovo ora che il caso Navalny e il dibattito sul destino di Nord Stream 2 lo hanno riportato alla ribalta. Le divergenze tra i due blocchi contrapposti – Urss/Russia ed Europa occidentale/Unione Europea -, le pressioni americane sugli europei, il ricorso alle sanzioni, le rotte dell’energia intrecciate ai confini tra i Paesi: il mondo è cambiato, il copione molto meno. «Alle tue sanzioni del tubo, signor Reagan!», scrivono i saldatori sovietici su un tratto di gasdotto immortalato in una fotografia del 1982.
È una delle immagini raccolte in un libro che ripercorre questi 50 anni, intitolato appunto “Il grande gioco del gas”. Gli autori, Konstantin Simonov e Aleksej Grivach, sono direttore generale e vicedirettore del Fondo nazionale russo per la sicurezza energetica. Insieme hanno partecipato a Mosca a un dibattito, organizzato dall’agenzia Rossiya Segodnya, in cui analizzando i legami tra russi ed europei nell’ambito dell’energia ci si è chiesti: la storia si ripete?
«Ci interessava capire – spiega Simonov – come è stato possibile in passato creare un sistema di contratti così solido tra quelli che ideologicamente erano due nemici. Ma che hanno saputo stringersi la mano e trovare punti di contatto: politici e businessman europei avevano capito quanto fosse importante costruire rapporti economici, malgrado gli antagonismi e il timore degli Stati Uniti di veder ridotta la propria influenza. Aumentando invece gli interessi comuni, si sarebbero ridotti i conflitti».
Eppure qualcosa non ha funzionato se a tanti anni di distanza – e con il confronto sull’Ucraina ancora completamente irrisolto – si torna a discutere sulla scelta più opportuna: di fronte all’attacco ad Aleksej Navalny, è realistico sperare di arrivare ai responsabili attraverso la collaborazione, oppure non c’è alternativa alla strada delle sanzioni, immaginando tra queste la cancellazione del progetto Nord Stream 2? Il gasdotto russo che sta quasi per arrivare in Germania non è il solo legame energetico tra l’Europa e Mosca, ma è diventato simbolo di una interdipendenza che potrebbe uscire profondamente segnata dalle decisioni del governo tedesco e, accanto, della Ue.
Ci serve il gas di Nord Stream 2?
Quello di Nord Stream è gas in arrivo dall’Artico russo, penisola di Yamal: dove il gigantesco giacimento di Bovanenkovo, con 4.900 miliardi di metri cubi, conta su riserve più che doppie rispetto al totale della Ue. Per il momento, è gas di cui l’Europa può fare a meno: almeno fino a tutto il 2021 Gazprom è in grado di rispettare i contratti con i clienti europei anche senza Nord Stream 2.
Lo scenario futuro però è dominato dalla volontà di ridurre la dipendenza dalla Russia e dai combustibili fossili, affidandosi a fonti rinnovabili. Senza contare la concorrenza del gas naturale liquido (Lng), sponsorizzato con determinazione dagli americani. E tuttavia, il consorzio Nord Stream 2 scommette sul calo della produzione di gas europeo, ridotta della metà nei prossimi 20 anni (calo diviso tra Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito), mentre sempre nell’arco di 20 anni si prevede che la domanda di gas rimanga stabile nel momento in cui diversi Paesi – a partire dalla Germania – si allontanano dal carbone e dall’energia nucleare. C’è un vuoto da colmare con gas russo in concorrenza con l’Lng, calcola il consorzio sul proprio sito internet stimandolo pari a 120 miliardi di metri cubi l’anno: «Nord Stream 2 è una parte di soluzione».
L’impero fuori rotta
Dall’Unione Sovietica la Russia ha ereditato i contratti che l’hanno legata all’Europa: il principale fornitore di energia e il suo principale mercato. Nel frattempo, però, il tragitto dei grandi oleodotti e gasdotti era cambiato: lungo la strada verso i clienti europei, Bielorussia e Ucraina – attraverso cui passava la maggior parte del gas esportato, 180 miliardi di metri cubi annui – non facevano più parte dell’impero ma erano diventate Paesi indipendenti, cui spettano diritti di transito. In caso di legame non conflittuale – Bielorussia – da Mosca ci si aspettavano sussidi e trattamenti preferenziali. Là dove invece il legame è saltato – Ucraina – il passaggio di gas e petrolio è finito immediatamente ostaggio della politica.
Nella grande mappa dell’export russo, Nord Stream 1 e 2, con TurkStream al posto del progetto South Stream, sono stati concepiti per escludere Kiev dalle rotte del gas. Fino al 2019 passavano attraverso l’Ucraina 87 miliardi di metri cubi sui 200 che Gazprom calcola di poter continuare a vendere all’Europa. Che ne sarà di quegli 87 miliardi, una volta operativo anche il secondo Nord Stream? In realtà, giusto a poche ore dalla alla scadenza dei contratti, il 30 dicembre 2019 russi e ucraini sono riusciti a firmare un compromesso che salva il transito ucraino. Con un contratto di cinque anni – e che impegna la Russia a spedire via Ucraina un minimo di 65 miliardi di metri cubi nel 2020 e 40 miliardi l’anno tra il 2021 e il 2024 – Kiev continuerà a ricevere da Gazprom 3 miliardi di dollari l’anno in diritti di transito.
L’offensiva del Congresso Usa
Così come negli anni 70 e 80 gli Stati Uniti temevano che i contratti conclusi con l’Unione Sovietica avrebbero potuto diminuire la loro influenza in Europa, oggi l’amministrazione Usa concentra le sue preoccupazioni su Nord Stream 2: il gasdotto rafforzerà ulteriormente la dipendenza europea da Mosca. Considerati i sempre più numerosi fronti aperti tra Russia e Stati Uniti, e il desiderio di promuovere la vendita di shale gas americano in Europa sbarazzandosi di un concorrente, il gasdotto è diventato uno degli obiettivi preferiti a Washington, in particolare dei senatori Ted Cruz (repubblicano del Texas) e Jeanne Shaheen (democratica del New Hampshire).
Nel dicembre 2019 il National Defense Authorization Act prevedeva sanzioni contro qualunque compagnia straniera (non solo americana) impegnata nella costruzione. La svizzera AllSeas è stata così “convinta” a ritirarsi dal progetto, fermando le proprie navi che stavano posando sul fondo del Baltico i tubi a nome del consorzio guidato da Gazprom. Ma non è finita. La prossima offensiva di Cruz e Shaheen punta a dare il colpo finale a Nord Stream 2 con un nuovo progetto di legge già approvato al Senato, e che allarga la minaccia di sanzioni alle società fornitrici di attrezzature portuali, assistenza, servizi assicurativi e la certificazione necessaria perché il gasdotto possa entrare in funzione. In discussione alla Camera, il nuovo atto dovrebbe essere firmato a novembre.
In mano alla Akademik Cherskij
L’esclusione delle compagnie straniere dalla posa dei tubi ha costretto i russi a fare da soli, allungando sensibilmente la tabella di marcia. In servizio è stata richiamata dall’Estremo Oriente la Akademik Cherskij, rimasta sola a completare i 120 km rimasti in acque territoriali danesi. Ma secondo fonti citate dal quotidiano Kommersant, la nave non ha l’esperienza e le attrezzature necessarie, senza contare che i lavori saranno ora complicati dalla stagione fredda. Ma, di nuovo, le ombre più pesanti arrivano da oltreoceano. Attualmente la Akademik Cherskij è ferma, ancorata a Mukran, porto dell’isola tedesca di Rügen e centro logistico di Nord Stream 2. A inizio agosto è arrivata una lettera dal Senato americano, con un avvertimento: la compagnia che gestisce il porto, Fäehrhafen Sassnitz, rischia il fallimento se non cesserà di fornire sostegno al progetto di Gazprom.
Un gasdotto inopportuno?
Il dibattito sul destino di Nord Stream 2 proseguirà a lungo: tanto più che Angela Merkel invoca una decisione condivisa a livello europeo. L’avvelenamento di Aleksej Navalny, chiarisce, non riguarda soltanto la Germania. Ma è chiaro che sono soprattutto tedeschi gli interessi che ruotano attorno al gasdotto. E nel dibattito che contrappone Paesi o politici favorevoli o contrari al suo completamento, il ministro tedesco degli Esteri Heiko Maas ricorda che sono più di cento, per metà tedesche, le compagnie coinvolte nella costruzione. «Nord Stream 2 verrà completato – è convinto Jurij Zaytsev, veterano dei negoziati tra Urss ed Europa per le forniture di gas attraverso la rotta Urengoj-Pomary-Uzhgorod, il gasdotto dell’amicizia (Druzhba) -. I tedeschi lo vogliono. Hanno costruito i gasdotti che proseguono la strada di Nord Stream 2, ci hanno investito soldi».
Un prezzo giusto da pagare, sostiene il fronte opposto, visto che il comportamento di Mosca non merita un rilancio dei legami energetici, e visto che l’attacco a Navalny rende moralmente sempre più difficile mantenere il piano diplomatico separato da quello degli interessi commerciali. Fino a un mese fa, per difendere Nord Stream 2 dalle sanzioni americane la Germania poteva contare sul sostegno di diversi Paesi europei, insospettiti dalla parallela promozione del gas americano in Europa. Ora quel sostegno appare improponibile.
E tuttavia, da Mosca Konstantin Simonov conclude la tavola rotonda su Nord Stream 2 con la convinzione che non sia realistico «abbandonare fornitori che ti garantiscono un terzo del gas che ti serve. Se in passato siamo riusciti a risolvere i problemi malgrado l’Urss fosse un avversario ideologico – ripete l’esperto di energia e geopolitica – penso che li risolveremo anche ora».