Il Sole 24 Ore, 13 settembre 2020
Cina prima nel virus, prima nella ripresa
Da grande malato a prima economia mondiale in grado di tenere sotto controllo la pandemia e scongiurare una seconda ondata di contagi. In Cina, il paese dove l’emergenza globale è partita, il quadro epidemiologico è più che rassicurante: al netto delle infezioni importate dall’estero non si registrano casi da settimane e il massiccio monitoraggio del contagio basato su tamponi a tappeto e un sistema di sorveglianza digitale della cittadinanza inattuabile nelle democrazie occidentali ha permesso di scongiurare l’insorgenza di una seconda ondata. La Repubblica popolare è anche in prima fila nella corsa al vaccino e sebbene le sperimentazioni non siano ancora terminate un utilizzo emergenziale è stato già approvato: nei giorni scorsi China National Biotec Group Co, controllata dal colosso farmaceutico di Stato Sinopharm, ha comunicato di aver inoculato centinaia di migliaia di dosi da luglio ad oggi. L’operazione sarebbe impensabile in Europa e Stati Uniti, dove la somministrazione è vincolata a rigidi protocolli di sicurezza (vedi il recente stop dei test di Astra Zeneca deciso dopo un solo episodio anomalo). In Cina, come in Russia, non si fanno troppi scrupoli.
L’Europa deve fare i conti con l’impennata della curva in coincidenza con la riapertura delle scuole. Gli Stati Uniti si avviano al voto in una situazione ancora critica sul fronte contagi. In Cina la situazione è sotto controllo. Merito delle enormi risorse finanziarie messe in campo ma anche di una libertà di manovra in tema di contrasto al virus che le grandi democrazie non si possono permettere. Il modello autoritario cinese, poco rispettoso dei diritti umani e delle libertà individuali, si è dimostrato indubbiamente più efficiente e organizzato nell’affrontare la minaccia del virus. Un fatto che ha già rappresentato un vantaggio competitivo nello scacchiere globale visto che la Repubblica popolare è stata l’unica economia mondiale, nel secondo trimestre, a registrare una crescita del Pil rispetto a fine anno. E i frutti si vedranno nei mesi a venire.
Come accaduto in occasione dell’ultima recessione globale, che fu un’occasione per la Cina e i gli altri Paesi emergenti per ribilanciare gli equilibri dell’economia mondiale, anche con la pandemia la Repubblica popolare potrebbe uscirne più forte. I numeri fatti registrare dai mercati azionari cinesi in questi mesi in qualche modo riflettono questa aspettativa: l’indice Csi300, che monitora l’andamento delle società quotate cinesi a maggior capitalizzazione, da inizio anno ha messo a segno un rialzo di quasi 13 punti percentuali.
Ma ci sono anche indici, come quello della Borsa di Shenzhen, che hanno guadagnato oltre 25 punti percentuali da inizio anno. Più del Nasdaq il cui saldo da inizio anno, alla luce della recente volatilità che ha colpito i colossi tecnologici a Wall Street, si è ridotto a +20 per cento.
Se l’indice Msci Emerging Markets, che misura l’andamento delle principali Borse emergenti, ha recuperato il 44% del proprio valore ed è a un passo da azzerare le perdite da inizio anno (-2% il saldo) il merito è soprattutto dell’azionario cinese. Con la graduale inclusione in questi anni delle azioni cinesi di classe A negli indici borsistici Msci, il peso della Repubblica popolare è significativamente cresciuto: se nel 2017 valeva il 28% dell’indice oggi è il primo Paese rappresentato con una quota del 42 per cento. Un risultato del processo di apertura dei mercati avviato dalle autorità e che comporterà negli anni a venire un crescente afflusso di capitali esteri.
«Per la quarta volta da inizio anno i fondi azionari cinesi hanno raccolto oltre 2 miliardi dollari di sottoscrizioni» segnala Epfr Global nel suo ultimo rapporto. Gli analisti hanno messo in relazione il recente exploit con le ultime dichiarazioni del presidente Xi Jinping. Parlando a una platea di economisti cinesi il presidente ha auspicato una crescita della domanda interna che possa ridurre la dipendenza dalle esportazioni e rendere il Paese più resistente agli shock esogeni. In un’economia mondiale post-pandemica che potrebbe amplificare le spinte protezionistiche e la deglobalizzazione è necessario che «i cittadini spendano di più e l’industria sia più innovativa» ha detto Xi.