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 2020  settembre 13 Domenica calendario

Il rischio di creare distorsioni nell’economia italiana

In un momento in cui l’economia fatica a riprendersi, ricorrere alla spesa pubblica per sostenere consumi e investimenti è la cosa giusta da fare. Lo abbiamo imparato da John Maynard Keynes nel secolo scorso. Ma non illudiamoci che sia una strategia priva di rischi. Il debito che stiamo accumulando comunque dovrà essere rimborsato. Certamente i quasi 100 miliardi di nuovo debito che avremo emesso prima della fine dell’anno, ma anche gli aiuti che riceveremo dal Recovery Fund. Questi aiuti saranno possibili grazie al debito emesso dall’Europa, e che l’Europa, e quindi in parte anche noi, dovremo rimborsare. Il debito oggi costa poco perché i tassi di interesse sono prossimi a zero: questo però non elimina la necessità di rimborsarlo.
Ma il problema più grave non è neppure questo: è il rischio che tutti questi soldi oggi aiutino sì la domanda, ma al costo di introdurre nell’economia distorsioni che abbasseranno a lungo andare la crescita. Un altro modo per dire che questo debito aiuta noi, ma trasferendone il costo sui nostri nipoti. Alcuni provvedimenti che il governo si appresta a varare vanno purtroppo proprio in questa direzione.
Si è aperta la discussione sul rinnovo dei contratti di lavoro per le imprese private.
La soluzione che il governo propugna (per accontentare la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e il segretario della Cgil Maurizio Landini) è un aumento (la cifra è indicativa) di 80 euro al mese per tutti, ma privi di imposte. Cioè, la busta paga aumenta di 80 euro al mese, ma 18 circa li mette lo Stato. È evidente che gli imprenditori siano d’accordo: a tassazione invariata, per aver il medesimo effetto sulle buste paga l’aumento dovrebbe essere di 105 euro al mese. Che paghi lo Stato indebitandosi non è neppure il problema maggiore. È che si introduce una distorsione che renderà sempre più difficile attuare ciò di cui ci sarebbe bisogno per favorire la crescita: una riforma profonda del Fisco partendo dall’eliminazione delle mille eccezioni che negli anni sono state introdotte per obiettivi di breve durata, ad esempio per favorire, come in questo caso, gruppi specifici.
Il governo sta anche pensando di aprire la trattativa per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. Anche qui non si parla di produttività o di regole, ma solo di stipendi. Non si parlerà, per fare un esempio, della regola per cui nelle scuole non si può sostituire un bidello o una segretaria per i primi giorni di assenza: sette giorni per un bidello, trenta per una segretaria, una regola che blocca il funzionamento delle scuole. Il problema centrale diventano quindi i nuovi banchi, perché per quelli basta spendere. Il divieto di sostituire gli assenti deriva da un norma introdotta anni fa per risparmiare. Ora che i soldi non sono più un problema l’unico motivo per mantenerla in vita è per non correre il rischio che arrivi un supplente bravo che abbia voglia di lavorare.
I dipendenti pubblici sono a casa in smart working da sei mesi a stipendio pieno, diversamente dai dipendenti delle aziende private i quali, se non lavorano, sono in cassa integrazione con riduzioni significative dello stipendio. È davvero il momento di premiare il pubblico con aumenti salariali? Anche quelli, come i guardiani dei musei, che certo non possono aver lavorato in remoto? Certo, se i soldi sono gratis, perché no? Ma è questo un buon modo per avviare una discussione sulla produttività del settore pubblico, quando è proprio la produttività la maggior zavorra che frena la nostra crescita ?
I sindacati chiedono l’estensione a tutti, indiscriminatamente, della cassa integrazione. E si oppongono anche all’utilizzo del periodo di cassa per attività di formazione, come invece accade nella riforma in discussione in Francia. Cioè escludono che la cassa possa preludere alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Un lavoratore dovrebbe restare legato alla propria azienda non solo in occasione di cadute temporanee della domanda, ma anche quando questa ha una crisi irreversibile. Prima del Covid erano circa 300.000 le persone che ogni anno cambiavano posto di lavoro; il Covid farà esplodere quel numero perché renderà necessaria una profonda riallocazione delle attività produttive. La cassa illude i lavoratori che finita la pandemia il loro posto di lavoro sarà lì ad aspettarli: in molti casi purtroppo quell’impiego non ci sarà più ed è meglio prepararsi in tempo. Servono scuole e progetti di formazione che facilitino questa riallocazione. Altrimenti fra un anno assisteremo a un’esplosione della disoccupazione. Introdurre la cassa permanente per tutti sarebbe un danno molto grave per la nostra economia. E come sempre accade, quando un errore diventa legge, poi correggerlo è molto difficile.
Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la coesione territoriale, chiede la de-contribuzione del lavoro nel Mezzogiorno. Al Sud il salario dei nuovi assunti già beneficia di una contribuzione ridotta. Estenderla a tutti i lavoratori costerebbe circa 5 miliardi l’anno. Ma, ancora una volta, non è questo il problema più grave, e infatti il ministro Provenzano sostiene che potrebbe pagare il Recovery Fund. Le regole europee non consentono la concorrenza fiscale all’interno di un Paese. Anch’io penso che sia una regola sbagliata: perché l’Irlanda può far concorrenza agli altri Paesi dell’Unione con una tassazione agevolata, ma la Catalogna non può tassare il lavoro meno del resto della Spagna? Ma se questo è l’obiettivo, il problema va posto in Europa, altrimenti si rischia solo di incorrere in una procedura di infrazione.
Insomma, utilizzando strumenti sbagliati per sostenere la domanda nel breve termine, rischiamo di introdurre distorsioni che favoriscono alcuni settori o alcune categorie. Questi diverranno difensori agguerriti di quelle norme dannose, che quindi saranno difficili da cancellare. Si dovrebbe invece avere il coraggio di incardinare provvedimenti a breve, a medio e a lungo termine in una visione del Paese. Cosa che, per una politica ammalata di ricerca del consenso, appare impossibile.