Il Sole 24 Ore, 12 settembre 2020
Brexit, il diritto internazionale fatto a pezzi da Boris
Le regole internazionali sul diritto dei trattati sono chiare e risalgono al diritto romano. Ma il primo ministro britannico Boris Johnson ha deciso di farne carta straccia prevedendo nello “United Kingdom Internal Market Bill” che i ministri possano violare liberamente alcune parti dell’accordo sul recesso del Regno Unito dall’Unione Europea del 24 gennaio 2020, in vigore dal 1° febbraio 2020 e, in particolare, del Protocollo sull’Irlanda del Nord.
Se il disegno di legge fosse approvato, i ministri del Governo inglese potranno decidere di disapplicare alcune parti del Protocollo: nel testo non è prevista direttamente la violazione, ma è stabilita la possibilità di usare, se necessario evidentemente per ragioni interne, la disapplicazione di alcune regole.
Nessun dubbio che il disegno di legge viola il diritto internazionale. Lo ha detto anche il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis, dinanzi all’House of Commons non lasciando spazio a interpretazioni diverse: il Governo inglese chiede al Parlamento di approvare un atto che calpesta il diritto internazionale anche se questa violazione avverrà in limitati casi. Non si tratta, quindi, di discutere sul se le regole internazionali sarebbero violate a seguito dell’approvazione dell’atto, ma solo individuare quali norme di diritto internazionale risulterebbero violate dalla nuova legge sul mercato interno e quali potrebbero essere le conseguenze sul Regno Unito e le risposte dell’Unione Europea.
Sotto il primo profilo, certa la violazione della regola di natura consuetudinaria e, come tale, vincolante per tutti gli Stati, pacta sunt servanda, codificata anche nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (il Regno Unito ha ratificato il testo nel 1971) e nella Convenzione sui trattati conclusi tra Stati e organizzazioni internazionali del 1986.
Una volta assunto l’obbligo sul piano internazionale – come avvenuto con la ratifica dell’accordo sul recesso – gli Stati devono eseguire il trattato in buona fede, nel rispetto del legittimo affidamento delle parti contraenti, che evidentemente è messo sotto scacco dal disegno di legge. L’Internal Market Bill non può poi essere giustificato da un mutamento fondamentale delle circostanze, invocato da alcuni membri del Governo. Nel diritto internazionale la clausola rebus sic stantibus è una causa di estinzione dell’accordo, ma può essere invocata – e non applicata con le modalità di una legge interna in contrasto con il diritto internazionale – solo in presenza di circostanze essenziali che non si sono verificate. Né l’adozione della legge potrebbe essere usata come escamotage da Londra per sciogliere il Regno Unito dagli obblighi internazionali: il diritto interno, infatti, non può essere invocato per giustificare il mancato rispetto degli impegni assunti, se non in caso di violazione di norme interne di fondamentale importanza sulla competenza a stipulare i trattati.
Certo, è possibile invece la modifica del testo che, però, deve essere concordata tra le parti per non incorrere in un illecito internazionale costituito dall’inadempimento del trattato. Tra l’altro, l’accordo sul recesso ha una sezione ad hoc dedicata alla risoluzione delle controversie sull’interpretazione e l’applicazione dell’accordo che permette l’avvio di una procedura di arbitrato.
Nel disegno di legge proposto da Boris Johnson non viene ipotizzata, inoltre, alcuna causa di invalidità o di estinzione, per liberarsi degli impegni assunti né d’altra parte, è stata comunicata la volontà di estinguere il Trattato. Pertanto, il disegno di legge può essere visto solo come un tentativo di applicare il Protocollo à la carte con lo stratagemma, in salsa nazionalista, del primato dell’ordinamento britannico sul diritto internazionale.
Di fronte a una flagrante violazione dell’accordo e del diritto internazionale, qualora il Parlamento inglese dovesse dare il suo assenso al piano di Johnson, l’Unione Europea non potrà che rispondere. Bruxelles, come ha già indicato, potrebbe decidere di ricorrere al sistema di soluzione di controversie previste nello stesso accordo, ma potrebbe anche arrivare all’inadempimento generale dell’accordo in forza del principio inadimplendi non est adimplendum o bloccare la prosecuzione delle intese che stanno a cuore al Regno Unito come quella sul commercio. Inoltre, la Commissione potrebbe rivolgersi alla Corte Ue tenendo conto che, in base all’art. 87 dell’Accordo sul recesso, Lussemburgo resta competente per i ricorsi contro il Regno Unito avviati prima della fine del periodo di transizione.