Corriere della Sera, 12 settembre 2020
Intervista a Cristina D’Avena
Cristina, come spiega l’affetto del pubblico?
«È un affetto reciproco. Io mi dedico molto a loro e loro contraccambiano con amore profondo, facendo tante cose bellissime, come macinare chilometri per incontrarmi: organizzano pullman per arrivare prima di me nei luoghi dei concerti e farmi trovare il cartello davanti all’hotel...».
Lo ammetta: c’è una canzone di cui è stufa?
«No, come faccio? Cantare è la mia vita!».
Ha riempito i palazzetti. Sogna lo stadio?
«Magari!».
Cristina D’Avena, sette milioni di dischi venduti, quasi 750 incisi, duetti con Loredana Bertè o J-Ax a suon di Occhi di gatto e Pollon combinaguai, è per tutti la principessa di un mondo fatato dove il tempo si è fermato: agli anni 80, per la precisione, quando cominciò a cantare le sigle dei cartoni animati. Amatissima da generazioni diverse, il suo pubblico va dai nonni che la ricordano accanto al Mago Zurlì mentre si esibiva nel Valzer del moscerino (era il 1968 e aveva tre anni e mezzo) ai 40-50enni con i figli, che conoscono le sue canzoni a memoria. Qualche giorno fa, però, ha «destabilizzato» i fan su Instagram, con un bel bikini che le ha procurato 111.650 like e 45 mila nuovi follower.
Si era stufata di fare la fatina?
«In realtà doveva essere un semplice scatto di fine stagione. Eravamo a Montecarlo e Mario Bove, il fotografo che segue i social, mi ha detto come mettermi in posa e poi ha scattato. Dopo che l’ho postato, è stato incredibile. Nemmeno quando canto i puffi ottengo tanta attenzione».
A 56 anni desiderava dare una immagine diversa?
«Ma no, ho sempre amato mostrare la mia femminilità, senza mai essere volgare».
Qual è il tratto che la caratterizza?
«Penso di essere molto fatina buona, caratterialmente. Però ho tutta la grinta necessaria al mio lavoro, che è bellissimo, ma impegnativo. A parte adesso per via del Covid, ho sempre fatto tantissimi concerti: quando ti aspettano 15-20 mila persone, senti la responsabilità. E spostarsi stanca: mi muovo in macchina, non prendo mai l’aereo».
Quando è nata la paura?
«Una notte sono rimasta bloccata da sola in ascensore. Non c’erano i telefonini e il pulsante dell’allarme non funzionava. Fu un’esperienza terribile, ho ancora paura del buio e non ho più preso un ascensore: una fortuna per i glutei!».
Chissà quante esperienze si è preclusa...
«Mi spiace soprattutto non essere andata in Giappone. Ho rinunciato piangendo».
Dove vive?
«Un po’ a Milano e un po’ a Bologna. Il lockdown l’ho passato a Milano: per fortuna con me c’erano anche mia mamma e mia sorella».
E il suo fidanzato... Non ci vuole dire nemmeno il nome?
«No, c’è troppa curiosità su questo argomento. Stiamo insieme da dieci anni: avevamo amici in comune...».
Ha pensato a come sarebbero stati questi mesi se ci fosse stato ancora suo padre Alfredo, medico?
«Sarebbe stato in prima linea. Lui era un medico con la M maiuscola: si svegliava tutte le mattine alle 7 per fare le visite e poi di pomeriggio andava in ambulatorio. La sera studiava per aggiornarsi. È mancato nel 2008».
Nuovi progetti in vista?
«Un po’ di cose bollono in pentola, ma sono scaramantica. Non so quale partirà prima, se quello televisivo o quello musicale. Mi auguro di poterlo dire presto».