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 2020  settembre 12 Sabato calendario

L’arte dello scarabocchio

All’inizio c’è il foglio: da disegno, di quaderno, foglio protocollo, riquadro minuscolo. Uno spazio bianco, disponibile, aperto e senza confini. Così i bambini cominciano a scarabocchiare su quella superficie prima ancora di iniziare a scrivere. In verità disegnano e scrivono insieme. Hanno visto gli adulti che lo fanno con le matite e le penne di casa, sebbene usino cellulari, tablet o computer. Spesso capita ai bambini di vedere i grandi che, seppur distratti, scribacchiano sui loro fogli. Sono ghirigori, intrecci, spirali, arabeschi, svolazzi, sgorbi, girigogoli, lacci, svolazzi, faccine. Perché tutta questa attività? Per quali ragioni lo scarabocchio ci accompagna tutta la vita dall’età infantile a quella adulta? La domanda mi girava in testa da molto tempo, alimentata anche dalla passione per un maestro del ghirigoro, il romeno- italiano- americano Saul Steinberg, disegnatore la cui opera è tra le più conosciute al mondo, senza che venga associata al suo nome. Arte personale e insieme assolutamente anonima, lo scarabocchio è considerato non-arte, per quanto praticata da tutti. Poi un giorno ho avuto tra le mani un libro, Piaceri di noia, un grosso volume curato da Giuseppe Zevola, che raccoglieva gli scarabocchi sui margini dei documenti contabili del Banco di Napoli, redatti da scrivani su fedi di credito, polizze, libri, pandette, dispacci. Conteneva anche un testo di Ernst H. Gombrich, che abbozzava una teoria dello scarabocchio, almeno di quello adulto, definendolo “spostamento di tensione”, ovvero attività sostitutiva che non occupa la mente e che sfugge all’imperativo della concentrazione. Là dove l’artista o il professionista del disegno deve fare uno sforzo per ottenere una forma soddisfacente, l’adulto che scarabocchia, scrive Gombrich, è libero, distratto e ondivago. Gli scritturali ottocenteschi della banca seppur oppressi dalla fatica di incolonnare cifre, redigere ricevute, sistemare carte debitorie – uno di loro appunta in margine: «Chi non sa scrivere non s’immagina neppure che lavoraccio è: due dita scrivono e tutte le altre membra soffrono» –, si sbizzarrivano in disegni e ghirigori vorticosi sui bordi dei fogli.
E gli arabeschi spettinati dei bambini? Quelli sono forse un’altra cosa? Intanto leggevo le opere di psicologi e antropologi allievi di Rudolf Steiner, come Han Strauss, autore de Il linguaggio degli scarabocchi.
Erano gli anni Ottanta del XX secolo e lo scarabocchio sembrava ancora un territorio sconosciuto ai più, almeno dal punto di vista dello studio e della conoscenza, per quanto coltivato da personaggi eccentrici in ambito psicologico e pedagogico, calligrafi e artisti. Ci sono voluti alcuni decenni per far emergere questo continente di ricerche ed esperienze, a partire dalle esperienze di tante scuole dell’infanzia, tra cui Reggio Children fondata da Loris Malaguzzi.
Il continente dello scarabocchio per sua natura è difficile da delimitare. Da un lato, confina con il disegno infantile, dall’altro con la calligrafia e la grafologia – una “scienza” codificata nel periodo romantico e tenuta in sospetto da molti. Poi c’è lo studio della traccia, sia infantile che adulta, e il campo dell’illustrazione e quello della pittura, come mostrano gli studi di André Chastel sulle grottesche. Si va da Saul Steinberg agli ambigrammi di Douglas R. Hofstadter, dagli scarabocchi d’artista a Goedel, Escher e Bach, non senza passare per Roland Barthes. Nel suo libro postumo, Variazioni sulla scrittura, s’interroga su quelli che chiama i sottofondi della scrittura: arrivati alla pubertà i bambini cambiano scrittura e insieme cambiano voce. Barthes aggiunge che il ritmo, ovvero l’attività cadenzata, sarebbe iscritto nella parte più arcaica delle nostre strutture encefaliche. Vari millenni prima dell’apparizione della scrittura vera e propria gli uomini hanno prodotto delle iscrizioni astratte e ritmate.
Da queste letture e riflessioni, dall’incontro con tanti studiosi e amici, e con la creazione del sito doppiozero. com, che dedica spazio a questi temi, è nata l’idea che si poteva creare un grande laboratorio pubblico da aprire una volta l’anno in una città italiana – Novara –, con l’adesione del Circolo dei Lettori, una sorta di festival, dove invitare persone che lavorano intorno al tema dello scarabocchio e del disegno. Non solo bambini o ragazzi, ma anche i loro genitori, perché lo scarabocchio-disegno riguarda entrambi: una serie di incontri e laboratori dedicati in parallelo a piccini e grandi – le famiglie –, per provare a scarabocchiare, disegnare, scrivere, incidere, stampare, e insieme ascoltare insegnanti, psicologi, antropologi, filosofi, artisti, illustratori, disegnatori che ci parlano di questo spazio di libertà del fare, che non ha bisogno d’autorizzazioni o regole fisse: liberi tutti, almeno per qualche ora, e insieme.