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 2020  settembre 12 Sabato calendario

Al via la Premier tra il loco Bielsa e il drago Klopp

Quando allenava il Newell’s, Marcelo Bielsa venne invitato al matrimonio del suo miglior difensore, Dario Franco, e fra una portata e l’altra del pranzo di nozze convocò la squadra in una sala appartata del ristorante. Naturalmente i giocatori pensarono a un discorso augurale, o a una divertente cerimonia di consegna di un regalo: Bielsa, invece, spense le luci e si mise a spiegare le immagini che scorrevano sullo schermo gigante. Era la squadra che il Newell’s avrebbe affrontato la domenica successiva: il ricevimento era sembrato al tecnico un’ottima occasione per trovare la rosa al completo, e indottrinarla. È da quel periodo che il soprannome di “El Loco” – il pazzo – accompagna don Marcelo come un’ombra. Ed è uno dei molti motivi per cui il suo debutto in Premier League, che questo pomeriggio si rimette in cammino, è il fatto sportivo del giorno in Inghilterra. A 65 anni si può dire che il calcio ultraoffensivo del “Loco” non abbia vinto molto: due titoli col Newell’s, l’Olimpiade 2004 con l’Argentina e l’ultima Championship (la serie B inglese) con il Leeds. Ugualmente, la sua influenza filosofica sui colleghi è enorme, da un allievo diretto come Pochettino a Guardiola, che decise di fare l’allenatore dopo una full immersion di un giorno intero a Rosario, ad abbeverarsi alla fonte.
Un debuttante così nobile non poteva partire con un match banale. Stasera il Leeds, nobile decaduta se ce n’è una – mancava dalla Premier da 16 anni –, inaugura la stagione ad Anfield, sul campo del Liverpool che, a proposito di grandi numeri, è campione in carica 30 anni dopo l’ultima volta. Al di là del diverso spessore delle squadre, Klopp contro Bielsa è un duello che regge ampiamente il cartellone, e sì che domani Tottenham-Everton racconterà un nuovo capitolo della sfida tra José Mourinho e Carlo Ancelotti. Semplicemente, questa è la Premier: il racconto collettivo più simile al Trono di Spade (il Manchester United è il clan Lannister, con Salah e Mané il re dei draghi è Klopp, Guardiola è ieratico come John Snow) che il calcio mondiale sia in grado di offrire.
Nell’ultimo decennio soltanto il Manchester City è riuscito a vincere due Premier consecutive. Ripetersi è una sfida ardua, ma Klopp ci è già riuscito ai tempi di Dortmund, e battere due volte il Bayern non è una passeggiata di salute. Astuto il motto varato per l’occasione: “Noi non difendiamo il titolo, noi attacchiamo quello successivo”. Un modo di pensare già emerso al party di festeggiamento di fine giugno, quando il capitano Henderson e il vice Milner tormentarono per tutta la sera lo staff di supporto (massaggiatori, autisti, magazzinieri) obbligandoli a ripetere “il prossimo anno lavorerò ad ancor maggiore intensità” mentre i poverini volevano solo ubriacarsi in pace. D’altra parte quelli bravi vincono un titolo ma quelli grandi segnano un ciclo.Premesso che la rosa del Liverpool è ottima, e che il probabile acquisto di Thiago dal Bayern amplierà il ventaglio dei ritmi possibili – mica si può sempre volare – i campioni d’Inghilterra hanno fatto poco sul mercato, come il Tottenham e l’Arsenal, che sono i due club più dipendenti dai ricavi da stadio. La crisi lambisce soltanto lo United ed è una parola sconosciuta al Chelsea. C’è un segreto alla base dei 233 milioni spesi fin qui per razziare buona parte del talento verde reperibile in Europa: Roman Abramovich ha messo a segno una plusvalenza vera – 330 milioni – cedendo la sua compagnia mineraria, e questa disponibilità si è riversata sul mercato. Il progetto affidato a Frank Lampard è molto intrigante, perché la squalifica dell’anno scorso ha impedito al Chelsea di acquisire giocatori “obbligandolo” a valorizzare i giovani che aveva in giro. Ne è uscita la stagione ottima di Mount e quelle buone di Abraham, Tomori e Hudson-Odoi. Il delitto perfetto: dopo aver risparmiato per un anno sviluppando i tuoi giovani (fase 1), vai a prendere sul mercato quel che ti manca per vincere (fase 2). Per vincere, certo. Il Chelsea va assemblato, ma ha un materiale con pochi paragoni. Una definizione per acquisto: il visionario Ziyech, l’implacabile Werner, l’elegante Havertz, il pressante Chilwell, il saggio Thiago Silva.
C’è stato un tempo in cui i duelli fra Guardiola e Mourinho fermavano il mondo, ma è passato e, in maniera diversa, è stato offensivo con entrambi, negando loro il torneo – la Champions – al quale avevano annodato i convergenti destini. Mou ha vinto la sua seconda e ultima nel 2010 con l’Inter, Pep è salito a quota due l’anno dopo col Barça, e si è fermato lì. Non sono molte le cose che non farebbero pur di concedersi un ultimo hurrà: Guardiola può riprovarci subito, ed è probabile che sia la chance finale col Manchester City, Mourinho quest’anno deve accontentarsi dell’Europa League. Nel recente docufilm sul Tottenham, il portoghese ricorda ai suoi uomini che i “bravi ragazzi” non vincono i trofei: dovranno essere molto cattivi, quindi, perché anche nel suo caso il mercato ha aggiunto pochino.
È andata meglio a Solskjaer, lo United con Van de Beek ha preso uno dei centrocampisti più moderni d’Europa. Però è un acquisto che denuda le ambizioni di Old Trafford e responsabilizza una volta di più Pogba: il contorno sembra ormai adeguato a una presa del potere che è stata più volte sul punto di compiersi, ma in realtà latita ancora. Dall’altra parte della città se ne è andato David Silva, giocatore persino più grande di quanto comunemente si pensi: spazio a Foden, il giovane che il City si è tenuto più caro anche per non ripetere il crac-Sancho, talento perduto e forse in procinto di rientrare, ma allo United. A proposito di ragazzi in gamba, segnalazione per Rhian Brewster, punta ventenne del Liverpool che tutti vogliono in prestito, ma Klopp farebbe bene a trattenere. Fuori dal grande giro occhio a Raul Jimenez, centravanti messicano del Wolverhampton, fortissimo, mentre ad Ancelotti all’Everton è riuscito il colpo, fallito a Napoli, di riavere in squadra James Rodriguez. Gioiello da restaurare, ma gioiello. Sul versante allenatori Mikel Arteta in pochi mesi ha dato all’Arsenal un volto nuovo e due coppe. L’ex secondo di Gua rdiola è in ascesa verticale.
L’ultima considerazione è per una stagione che, complice la seconda coppa nazionale, risulterà ancora più massacrante che altrove. È stato calcolato che Harry Kane, ove il Tottenham raggiungesse le finali di coppe e coppette e quella dell’Europeo, giocherebbe 85 gare in dieci mesi. La sciocchezza, in queste condizioni, è essere tornati ai tre cambi a partita.