la Repubblica, 12 settembre 2020
Puritanesimo di gregge
Il fatto che gruppi di pressione social (evoluzione dell’opinione pubblica) siano in grado di condizionare, o comunque influenzare, la vita politica, economica e culturale è, in sé, positivo. Con una metafora forse banale, vuol dire che c’è sempre più gente in piazza, e i vari poteri sono meno soli e meno comodi nelle loro scelte. Ma c’è una condizione senza la quale questa nuova presenza della vox populi sulla scena pubblica può trasformarsi in una calamità liberticida. Questa condizione è che i soggetti investiti dalla critica – politici, personaggi pubblici, artisti, editori – la affrontino con la schiena dritta. Riconoscendo il torto, quando c’è, ma opponendo la ragione, quando c’è. E non temendo l’anatema, lo stigma, la censura, anzi lottando per sconfiggerlo.
Quando ho letto che Netflix avrebbe perso in Borsa nove miliardi (!?) perché centinaia di migliaia di persone esigono che venga ritirato il film Mignonnes, in inglese Cuties, della regista franco-senegalese Maimouna Doucouré, ho pensato che questo film sia depravato. È invece la storia di una ragazzina musulmana che scopre, grazie alla danza, il potere e la libertà del proprio corpo, e per questo entra in conflitto con i tabù familiari, e l’uso assoggettato e penitenziale del proprio eros. Ma pare che la locandina (non il trailer, che fa solo venire voglia di vedere il film) mostri ragazzine in posa sexy (la danza, si sa…) e questo basti all’ennesimo Tribunale del Popolo per chiedere che il film venga messo al rogo. Questo è puritanesimo di gregge, non mi stupirebbe che suscitasse l’entusiasmo di qualche imam radicale. La sessuofobia unisce i bigotti di tutto il mondo. Se Netflix piega il capo alla censura social, sono io che disdico il mio abbonamento.