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 2020  settembre 12 Sabato calendario

Ci hanno allungato la vecchiaia, non la vita

«Invecchiare significa innanzitutto questo: essere condannati a risiedere negli almanacchi, diventare contemporanei di epoche passate»: a giudicare da questo assunto di pagina 14 il nuovo libro di Pascal Bruckner intitolato Una breve eternità. Filosofia della longevità non promette nulla di buono per chi ha più di cinquant’anni. Com’è uso fare, il filosofo, romanziere e soprattutto polemista francese non la manda a dire a nessuno. Anzi: queste pagine sono per certi versi una doccia fredda. Come quando ci mette, giovani e anziani, tutti di fronte all’incontrovertibile evidenza che «la scienza e le tecniche hanno prolungato non la vita, ma la vecchiaia». È certamente così, perché in fondo meglio di niente.
Eppure, man mano che si avanza nella lettura, non senza uno sforzo per non arrendersi alla disperazione (sempre se si è sopra quella soglia di età), ci si rende conto che il messaggio è tutt’altro che sconfortante. Come sempre, infatti, Brucker riesce a spiazzare il suo lettore mettendolo costantemente in gioco con un cortocircuito emozionale che funziona benissimo per risvegliare la mente e il cuore.
È verissimo, infatti, che via via che gli anni passano ci si sente sempre più spaesati nel presente e continuamente tentati dall’abitare nel passato, ma lo è altrettanto che, come dice Bruckner, gli appetiti (in senso lato, molto lato) non si spengono con l’età. Cambiano, si misurano secondo parametri diversi, ma il presente deve abituarsi al fatto che i diversamente giovani vogliono, si appassionano, si emozionano come e più di chi non ha ancora la loro età: «rinunciare alla rinuncia», dice senza mezzi termini Bruckner. E argomenta con convinzione, chiamando poi in causa tutte le età, perché anche chi è bambino oggi deve tenere conto che diventerà vecchio, cosa che è ancora l’unico metodo conosciuto per vivere a lungo. Il libro alterna ipotesi e narrazioni, offre uno spaccato preciso di quella che è oggi la percezione delle età, del gap che sussiste fra uomini e donne – in tema di gender un settantenne che si accompagna a una trentenne è percepito come una normalità che tutt’al più strappa un sorriso di sufficienza (o invidia), il contrario è un’anomalia plateale. Non perdona nulla a nessuno, come quando pone «la questione fondamentale dopo la cinquantina: che cos’è che ci tiene in piedi?». Perché per un verso più si va avanti con l’età più la vita è fatta di ripetizioni, cose già fatte, già viste e sentite. Peraltro, come dice lui, «il tempo è un rimprovero, ma può anche diventare una ricompensa», e allora sopra una certa età la scoperta, la novità sono accolte con un entusiasmo inedito, perché a vent’anni non ci si stupisce di stupirsi, ma a sessanta sì.
Una breve eternità, però è un libro per tutte le età, non solo un viatico per affrontare autunno e inverno della vita. Intanto perché molte pagine costituiscono un’analisi del presente, delle sue/nostre debolezze, ma anche e forse soprattutto perché vi si trovano spunti di riflessione interessanti per giovani e vecchi. Come quando l’autore offre una anamnesi della felicità, che secondo lui è fondamentalmente di due tipi: «una di sollievo, l’altra di intensità. La prima è mancanza di dolore, la seconda ricerca di forti soddisfazioni. Le due forme possono alternarsi nella stessa persona, a seconda dei giorni o dei periodi».La trattazione è sempre ricca di riferimenti a testi e realtà, Bruckner usa con libertà le sue pezze d’appoggio, non di rado innesta dei lunghi incisi che suonano come pensieri in libertà e che si leggono come uno specchio, trovando in quelle righe svariate cose che non osiamo ammettere con noi stessi eppure è proprio così: «A partire dai cinquant’anni ci si stupisce di essere ancora in forma, mentre altri hanno già tolto il disturbo. I funerali diventano frequenti come i matrimoni e i battesimi».
E a poco a poco, con spietatezza ma pure un certo tatto, l’autore conduce il suo lettore alle note veramente dolenti: la malattia, la morte. La prima, dice, ci insegna almeno tre cose: prudenza, resistenza e fragilità. La seconda non è un nemico ma una legge implacabile «che non ha mai smesso di tarlare, giorno dopo giorno, il nostro processo vitale». Eppure proprio qui, pigiando su questi tasti talmente delicati da essere rimasti l’ultimo tabù della nostra società – malattia e morte scottano, nel comune dire e pensare, e scottano più che mai oggi, con l’ingombro di questa sgradita compagnia, il virus – proprio qui Bruckner offre una vera e propria cura al suo lettore. Una cura fatta di consapevolezza, rassegnazione, giusta misura delle cose. «La mia morte è senza dubbio terribile; ma molto meno della scomparsa delle persone che amo, senza le quali non vorrei mai ritrovarmi da solo in questo mondo. La prima è un’atroce formalità, la seconda una catastrofe ontologica». Quanto è vero, quanto è giusto.