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 2020  settembre 12 Sabato calendario

Intervista a Nick Hornby

Fra un paio d’anni festeggerà il trentennale della sua carriera letteraria. Una decina di romanzi, e poi saggi, racconti e sceneggiature - scrivere dialoghi è una delle cose che gli riescono meglio -, tra le quali An Education, che nel 2010 gli valse pure una candidatura agli Oscar. «Non me lo sarei mai aspettato, onestamente. Voglio dire, la mia ambizione era riuscire a mantenermi come scrittore».
Nick Hornby ha 63 anni ed è quel genere di scrittore con il quale ti sembra di avere dei ricordi in comune: eravate ragazzi e Nick era un fanatico dell’Arsenal (Febbre a 90), ma anche un po’ nerd e ossessionato dalla musica (Alta fedeltà), poi c’è stata la fase trentenne immaturo che cresce grazie a un bambino (Un ragazzo), poi quella del matrimonio in crisi (Come diventare buoni), e così via.
Ora lui è grande e lo siete anche voi, e la vostra attenzione si è silenziosamente spostata dalle cose della gioventù – così vaste e rivolte al fuori – a qualcosa di più domestico – territorio altrettanto sconfinato, anche se in maniera differente.
In particolare i suoi ultimi due libri, Lo stato dell’unione (2019, un libretto tutto dialoghi poi diventato una bella serie tv con episodi fulminanti) e Proprio come te, in uscita in questi giorni, sono una full immersion in quel pozzo opaco e sdrucciolevole che è la coppia adulta. Siamo in quella manciata di mesi surreali del referendum per la Brexit del 2016. Non si parla d’altro, nei salotti di North London così come in fila dal macellaio. Ed è proprio davanti a un filetto che si incontrano Lucy e Joseph, diversi in tutto (età, colore della pelle, educazione, stato civile) e, contro ogni previsione si innamorano.
È nata prima la storia d’amore o l’idea di raccontare i giorni del referendum?
«La storia d’amore. Mi interessava capire come una relazione tra due persone così diverse potesse essere possibile. Ma poi l’ho lasciata lì e ho fatto altro. Quando c’è stato il referendum, con tutto il suo portato di rabbia e divisione, ho capito dove avrei potuto inserire quella coppia. Mi capita spesso: c’è un’idea, poi un’altra, e quando le due si scontrano allora è il momento di mettermi al lavoro».
In questi quattro anni i suoi sentimenti verso la Brexit sono cambiati?
«Ho votato per restare nella Ue, vivo in una città che per il 65% ha votato come me, come pure il 100% dei miei amici. Ma con il tempo la mia "squadra" ho incominciato a irritarmi».
In che senso?
«All’inizio tutti dicevano che votare era un atto democratico. Eppure, subito dopo il voto, ha iniziato a girare online una petizione, che i miei amici mi hanno sottoposto, con la quale si chiedeva di rivotare. Ma di cosa stavano parlando? Quasi 25 milioni di cittadini avevano già votato. Ho trovato folle il fatto di non riuscire ad accettare che le persone la pensassero diversamente. Da allora la mia posizione ha incominciato a cambiare, a essere più complicata».
Oggi rifarebbe la stessa scelta?
«Sì, ma ormai sono diventato agnostico, anche perché a oggi la Brexit non c’è ancora stata. Sono abbastanza vecchio da avere votato due volte per la stessa cosa: la prima nel ’75, il mio primissimo voto, quando al 70% votammo per restare. Ma la cosa interessante è che allora molte persone di sinistra votarono contro, usando le stesse motivazioni usate oggi dalla destra. Capisce perché io voglia sbarazzarmi di tutte le stronzate della "mia" parte politica».
Tornando a Proprio come te, Joseph è il mio personaggio preferito, perché è giovane e inesperto, ma pieno di curiosità e dubbi e sfaccettature. Si è ispirato a qualcuno che conosce?
«Forse all’inizio, ma come capita sempre con la fiction quando vuoi far fare a un personaggio qualcosa che la persona reale non ha fatto allora personaggio e persona si separano. A pensarci bene, non ho mai scritto di qualcuno che conosco, perché nessuno fa mai esattamente quello che io voglio che lui faccia!».
Leggendo il suo libro, si intuisce che nel Regno Unito siete ossessionati dagli immigrati dell’Europa dell’Est almeno tanto quanto noi lo siamo da quelli africani. È così?
«Sì. È una cosa piuttosto interessante perché molti qui, soprattutto nel ramo delle costruzioni, sono convinti che gli immigrati da Romania, Polonia o Albania abbiano contribuito ad abbassare i salari. Nel voto pro Brexit questo ha influito parecchio, così come dice anche il padre di Joseph convinto sostenitore del leave».
Lucy ha affrontato un brutto divorzio, ma non ne è uscita pessimista nei confronti del futuro. È capitato anche a lei?
«(ride) Credo che la mia situazione sia stata diversa perché, con un figlio disabile, appena divorziato ci siamo salutati dicendo: "Ok, ci vediamo domani a mezzogiorno". Anche se all’inizio ci possono essere rabbia e risentimento, devi incominciare a lavorarci su molto velocemente. A noi è capitato anche di andare in vacanza tutti insieme, con la mia ex e la mia moglie attuale. Comunque, lo stigma attorno al divorzio sta cambiando, e questo fa sì che si possa essere più ottimisti sulla possibilità di una seconda vita».
Lei ha detto di avere sempre parlato di più con le donne che con gli uomini.
«Non ci sono molti uomini con cui è possibile parlare in maniera profonda. Gli uomini sono emotivamente chiusi. Con loro condivido la musica, il calcio, ma nel tempo ho preferito avere rapporti con chi era disposto a parlare delle cose che mi interessavano di più, i sentimenti, la famiglia, le relazioni. Non mi piace generalizzare, ma credo che parlare con le donne apra più porte».
Le cose stanno cambiando però.
«Per fortuna i miei figli sono molto più aperti ed emotivi, e hanno anche molte amiche femmine, cosa che io non avevo alla loro età».
È ancora un fan dell’Arsenal?
«Dall’esterno sembrerebbe così, soprattutto per via dei miei figli. Ma la realtà è che la mia relazione con il calcio è meno intensa. Da quando la mia squadra ha cambiato stadio si è perso qualcosa. Quello nuovo sembra un aeroporto, e ora è tutto diverso, magari migliore sotto certi aspetti – si vede meglio il campo, c’è meno violenza, ci sono molte più donne e famiglie -, ma non c’è più anima».
Nei suoi libri, le coppie parlano moltissimo, cosa che nella vita reale è piuttosto raro...
«Nei romanzi e nelle sceneggiature sei costretto a prendere i momenti di conversazione e a lasciare fuori quelli in cui non si parla. In pratica, sono una versione editata della vita».
Perché negli ultimi libri insiste nell’esplorare così a fondo le relazioni uomo-donna?
«Quando ho scritto An Education qualcosa in me è cambiato: mi sono sentito abbastanza sicuro da potere scrivere anche di donne. La verità è che le donne hanno più ostacoli nelle loro vite, e scrivere di questi ostacoli e di come riescano a superarli è più interessante».
La contrapposizione tra classi sociali è ancora un problema sentito nel suo Paese?
«In Inghilterra se ne parla in continuazione, ma non conosco un Paese che non abbia questi stessi problemi. Il vero veleno da noi è il sistema scolastico privato. Da tempo incalcolabile, controllano l’intero Paese, perché solo chi le frequenta può aspirare a raggiungere un ruolo come quello di Primo ministro. È una follia».
È possibile dunque innamorarsi e vivere con una persona diversa da noi in tutto?
«Sempre, quando immaginavo una partner ideale, pensavo a una donna a cui piacesse leggere. Poi succede che con questa lettrice hai dei figli, e ti chiedi se la lettura sia ancora così importante, se i libri arricchiscano davvero il nostro rapporto, visto che non ne parliamo più. Ci fissiamo su come dovrebbe essere la persona "giusta", ma visto l’alto numero di divorzi forse i motivi per cui si resta insieme sono diversi da quelli che credevamo. Ad esempio, io penso che gentilezza e umanità siano più importanti dell’istruzione».
Quindi, in definitiva, è il solito problema delle aspettative...
«Soprattutto di quelle superficiali, sulle quali non abbiamo riflettuto abbastanza».