Robinson, 12 settembre 2020
Le donne del Risorgimento e la presa di Porta Pia
Fatto d’armi preceduto negli anni ’ 60 dall’alternarsi dei tentativi di soluzione diplomatica con i tentativi garibaldini di conquista militare, per sua natura evento tutto” al maschile”, la presa di Roma non ebbe protagoniste femminili, perlomeno non nel momento dell’azione. Eppure, nella cesura del 20 settembre 1870 è possibile ritrovare voci, gesti e pensieri di donne di vari strati sociali e di vario sentire politico. Non furono combattenti, anche se nei ricordi del generale Raffaele Cadorna resta traccia di un significativo equivoco provocato dal generale pontificio Zappi il quale, chiesto denaro per le mitragliatrici al cardinale vicario, digiuno di faccende militari, si sentì rispondere: «Per carità, per carità, non mischiate nell’esercito le donne!» … Piuttosto, esse animano le istantanee di testimoni diretti, come l’allora corrispondente di guerra Edmondo De Amicis, che nel racconto L’entrata dell’esercito italiano in Roma descrisse le donne dei quartieri attraversati dai bersaglieri partecipare alla festosa accoglienza riservata agli uomini di Cadorna, esponendo bandiere tricolori alle finestre e abbigliandosi coi tre colori nazionali, appuntandosi coccarde sul petto: un’adesione simbolica, fisica e cromatica al nuovo stato di cose che coinvolse donne del popolo e signore benestanti, alcune delle quali chiesero come ricordo ai soldati che incontravano qualche penna dei loro già famosi cappelli. Oltre alla partecipazione femminile di massa, rappresentativa del sentimento pubblico prevalente en plein air, ci restano anche tracce di donne” contro”, quelle dell’aristocrazia legata al pontefice, incredula e affranta per un evento a lungo temuto e ora realizzatosi. Tra loro, la marchesa Cecilia Serlupi Crescenzi, nata FitzGerald, un’inglese cattolica le cui annotazioni sul 20 settembre restituiscono l’immagine di una Roma svegliata alle cinque di mattina dai colpi di cannone, trepidante sino alle undici, ora della resa, furiosa alla vista della bandiera bianca issata su Porta Pia. Nei suoi ricordi la marchesa aggiungeva poi il senso di insicurezza di una donna barricata in casa con familiari e servitù, mentre il portone del suo palazzo ornato con lo stemma pontificio e del comune era oggetto della furia iconoclasta tipica del crollo di un regime, e dava per vere anche fake news, prodotto forse di voci sparse ad arte, come quelle sulle scene sanguinarie che si sarebbero svolte nelle strade cittadine. Mediatrice culturale tra il passato e il presente di Roma troviamo un’altra donna dall’ingombrante cognome, studiata da Antonietta Angelica Zucconi: la principessa Julie Bonaparte, pronipote di Napoleone, che il 4 settembre, appena proclamata la Repubblica in una Parigi minacciata dalle armi prussiane, era partita per Roma, tornando ad abitare il suo palazzo sul Foro Traiano dove avrebbe rimesso in gioco le doti di salonnière tollerante sviluppate durante tutto il Secondo Impero, riuscendo a dialogare sia con le signore dell’aristocrazia bianca allineata ai Savoia, sia con quelle dell’aristocrazia nera fedele al Papa (descritte a fine Ottocento nei lavori di Emma Perodi, Cento dame romane e Roma italiana), criticando l’irriducibilità di queste ultime e aprendo rapidamente il suo salotto alle nuove arrivate nella capitale, le mogli dei ministri come Laura Acton, consorte di Minghetti, o Amalia Flarer, moglie di Depretis. Le speranze, le paure ma anche le opportunità dischiuse dal 20 settembre 1870 ci propongono insomma profili assai diversi da quelli appartenuti all’epica stagione del 1849, quella della Repubblica romana che aveva registrato un impegno diretto delle donne, coinvolte in prima linea come combattenti, nella cura dei feriti, nel racconto a caldo di una difesa subito comunicata al pubblico anche internazionale come eroica e disperata sotto il cannoneggiamento francese. Dalla compagna di Garibaldi, Anita ossia Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, all’umbra Colomba Antonietti, che aveva voluto condividere la sorte del marito sul Gianicolo, restando uccisa da una palla di cannone, alla giornalista americana Margaret Fuller, che seppe veicolare oltreoceano il mito nascente di Garibaldi, all’emancipata principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, che mise a punto un pionieristico sistema di ambulanze, alle tante compagne e mogli che curarono i feriti – tra loro, Enrichetta De Lorenzo, compagna di Carlo Pisacane, Giulia Calame, moglie dell’attore patriota Gustavo Modena: le donne ebbero un ruolo attivo e furono anche vittime civili, come la Trasteverina colpita da una bomba del dolente fermo immagine dipinto da Gerolamo Induno nel 1850, o vittime politiche, come Giuditta Tavani Arquati, che il 25 ottobre 1867, mentre Garibaldi avanzava verso Roma, partecipò a una riunione segreta nel lanificio Anjani a Trastevere, scoperta dalla polizia pontificia, e restò uccisa insieme a marito e figlio. Ma queste sono altre storie. Tuttavia il legame più forte tra l’universo femminile e Roma che diviene italiana grazie al 20 settembre resta forse quello documentato da due fonti visive: un’incisione” a caldo” di probabile tiratura popolare intitolata L’Italia che abbraccia Roma ( Museo Centrale del Risorgimento), raffigurante la nazione monarchica che stringe a sé una giovinetta in costume tradizionale mentre un bersagliere sventola festosamente il suo cappello e sullo sfondo si staglia la cupola di San Pietro, e il dipinto Il plebiscito romano di Luigi Riva (1874, Museo del Risorgimento di Milano). Qui il senso della sacralità e dell’autodeterminazione incarnato dal plebiscito del 2 ottobre 1870 a Roma e nelle province laziali è reso attraverso l’immagine di una giovane abbigliata” alla ciociara” inginocchiata, concentrata e devota, di fronte a un altare laico con il busto di Vittorio Emanuele II e le bandiere tricolori – l’altare della Patria – nell’atto di deporre nell’urna il suo “Sì": la cesura del 20 settembre iconizzata nella donna che vota sembra così anticipare di quasi ottant’anni l’emozione dell’elettrice italiana nel 1946. L’autrice è professore ordinario di Storia contemporanea, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Pavia. Per il Mulino ha scritto “Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale"