Il Sole 24 Ore, 10 settembre 2020
Chi vince sui listini con l’inflazione
Quando crescono insieme le aspettative di inflazione e di una moderata crescita economica gli economisti pescano dal loro glossario il termine “reflazione”. Uno scenario decisamente migliore della “stagflazione” che invece si presenta quando l’aumento dell’inflazione non è affiancato da quello del Pil. Secondo gli esperti di Morgan Stanley dopo la batosta che il Covid19 ha inflitto all’economia mondiale nella prima parte del 2020 si stanno adesso creando le premesse per un trend di reflazione. Lo confermano, oltre alle aspettative di rimbalzo delle economia nel 2021, i dati crescenti sulle attese di inflazione di medio-lungo periodo. Negli Stati Uniti il grafico inflation 5y5y – che indica le stime sul carovita nei prossimi 5 anni e per il successivo lustro – sono balzate dall’1,19% di marzo al 2,1%. Nell’Eurozona si è passati dallo 0,73% (minimo storico per questo indicatore) all’1,19%. La distanza di quasi 100 punti base tra le due aree economiche sarà probabilmente tra i temi che il direttivo della Bce tratterà oggi. Alcuni operatori si aspettano che l’istituto di Francoforte risponda subito alla Federal Reserve che il 27 agosto ha cambiato i connotati della politica monetaria annunciando che anche qualora l’inflazione dovesse nel breve periodo superare la soglia obiettivo del 2% non andrà immediatamente a ritoccare il costo del denaro (o tasso di interesse) all’insù. Anche la Bce sta lavorando per riportare su valori un po’ più elevati l’inflazione e questo sarebbe un ulteriore tassello di chi inizia oggi a sposare con sempre più convinzione la teoria del ritorno della reflazione.
Una teoria che, tradotta in pratica, avrebbe risvolti significativi sui mercati finanziari. Perché la statistica insegna che quando si imbocca un trend di reflazione ci sono alcuni settori che ne beneficiano e altri invece che tendono a soffrire. Uno dei primi effetti potrebbe vedersi sulla curva dei tassi. Un fenomeno che potrebbe essere anticipato dagli Usa. Gli strateghi del mercato obbligazionario statunitense di Morgan Stanley prevedono rendimenti nominali più elevati e curve dei rendimenti più ripide. Secondo la banca d’affari la transizione a uno scenario più reflazionistico potrà essere irregolare, ma alla fine dovrebbe favorire le materie prime, i titoli ciclici e finanziari. Mentre a pagare dazio dovrebbero essere comparti come quello del “food and beverage”, immobiliare, telecomunicazioni, farmaceutici, ecc. (si veda grafico in alto).
«L’irripidimento della curva dei tassi dà maggiore slancio ai margini dei bancari – spiega Stefano Bottaioli, consulente finanziario e responsabile territoriale di Banca Consulia -. Un altro indicatore importante del ritorno della reflazione è il rame. Quando questa materia prima tende a salire con più forza rispetto all’oro, si ha storicamente un chiaro segnale in tal senso. E nelle ultime settimane il rapporto copper/gold sta andando proprio in questa direzione. Allo stesso tempo uno scenario di reflazione, oltre a favorire alcuni settori piuttosto che altri, rende l’area geografica dei Paesi emergenti più forte rispetto a Wall Street. Per cui se unendo tutti i puntini nelle prossime settimane lo scenario sarà confermato l’azionario emergente sarà da preferire all’indice S&P 500». Una piccola prova del movimento si è vista in questi giorni. Dal 3 settembre Wall Street ha perso circa il 5% (il Nasdaq l’8%). La liquidità fuoriuscita da questo storno è andata a premiare il settore auto (cresciuto in Europa del 4%) e dei bancari (+1%) mentre materie prime industriali, capitanate dal rame, hanno tenuto botta.