la Repubblica, 10 settembre 2020
Questa volta sono l’uomo di troppo
Michela Murgia si domanda se gli ospiti di un Festival che ha in cartellone ventotto maschi e una sola femmina si siano accorti di essere parte di un problema. Anche perché alcuni di loro, sottolinea giustamente Murgia, sono «bei nomi dell’intelligenza progressista», che ha l’indubbio onere di doversele fare, certe domande. (Gli intellettuali non progressisti sono invidiabilmente dispensati da questa e altre domande).
Rispondo volentieri a Murgia e alle altre donne che hanno sollevato la questione negli ultimi giorni, in primo luogo l’agguerrito e informato gruppo di pressione “boycottmanels”, che si occupa di segnalare e boicottare i “manels”, ovvero i panels di/per soli maschi. Rispondo ovviamente a titolo personale e non per conto degli altri ventisette. Tantomeno di Jasmine Trinca, unica donna in programma, alla quale sarebbe ugualmente interessante chiedere se se ne è accorta oppure no; e che cosa ha pensato di fare quando se ne è accorta.
Vengo alla mia risposta a Murgia. Sì, me ne sono accorto, di essere parte di un problema. E lo considero un problema vero, e di prima grandezza, che va sotto il nome di “rimozione di genere”. Ma me ne sono accorto tardi: solo quando la questione è stata sollevata sui social, e la polemica si è estesa a macchia d’olio. Perché non me ne ero accorto prima? Semplice: perché ero stato invitato a Verona, il 19 di settembre, per un’intervista pubblica a Gianni Morandi. Io e lui, punto e basta. Indubbiamente due maschi sullo stesso palcoscenico, ma non in numero tale da far sospettare l’assembramento del quale stiamo parlando qui e adesso. Non avevo la benché minima idea del programma complessivo del Festival, che si sviluppa, come tutti i Festival, attraverso settimane di eventi. E immagino che anche gli altri ospiti abbiano ricevuto un input del tutto identico al mio.
L’esempio virtuoso portato da Michela Murgia, quello del ministro Peppe Provenzano che nel giugno scorso declinò l’invito a un convegno animato da una dozzina di uomini, e zero donne (ne scrissi in prima pagina su questo giornale), non è apparentabile al nostro caso. Io non sono stato invitato a un convegno di ventotto uomini, tutti insieme nello stesso posto e nello stesso giorno. Sono stato invitato a una serata in coppia con Gianni Morandi.
Sto cercando di glissare? No, ho solo ritenuto giusto e interessante spiegare come sono andate le cose; perché non si pensi che un numero così cospicuo di misogini, o di grulli, abbia aderito per misoginia, o per grullaggine, a un’adunata di genere. Ma il problema, anche alla luce dei fatti, anche fatta la tara della buona fede di tutti, organizzatori compresi, rimane. A meno che si ritenga che la discriminazione di genere non esista; a meno che si pensi che la bomba culturale e sociale innescata dal #MeToo e dal nuovo femminismo sia una trascurabile parentesi, presto riconducibile a precedenti comodità; a meno, insomma, che non si consideri normale un programma artistico con ventotto uomini e una donna; il problema c’è, ed è grosso come una casa. E chiede, se non una soluzione (per quella ci vorrà qualche secolo, il tempo di boicottare i precedenti quattro-cinquemila anni di società patriarcale), almeno qualche risposta.Ora però arriva la parte difficile del mio discorso. Perché mi sono dato due possibili risposte: non ci vado, perché non sono d’accordo con quel programma; ci vado lo stesso, anche se non sono d’accordo con quel programma. Sono le sole due risposte chiare. Purtroppo, sono tutte e due sbagliate. Provo a spiegare perché.
La prima risposta – non ci vado – è eticamente la più limpida. Un passo indietro rispetto a una situazione certo non cercata, ma ugualmente imbarazzante. Ma ha almeno due evidenti, e gravi, controindicazioni. Primo, spegne per una sera un palcoscenico, quello dell’Arena, faticosamente riaperto dopo mesi di buio, come tutti i palcoscenici, penalizzando il lavoro tenace di molte persone e un pubblico, quello di Morandi, in larga maggioranza femminile e popolare. Per non appesantire il già ricco dibattito pro e contro la “cancel culture”, mi limito a dire che sono contro la “autocancel culture”.
Secondo, la scelta di non andare genera, inevitabilmente, la sgradevole sensazione (sgradevolissima per un intellettuale o un artista) di una decisione presa per opportunismo o addirittura per quieto vivere, pur di non inimicarsi settori di opinione pubblica molto propensi alla sentenza secca, spesso all’anatema, piuttosto che alla dialettica. Non c’è solo il body shame, c’è anche il brain shame, dileggio e deformazione violenta delle opinioni altrui. Ho molto apprezzato il fatto che Michela Murgia mi abbia messo di fronte a una domanda e non abbia preteso di impormi una risposta. Ora spiego perché è sbagliata anche la seconda scelta, andare lo stesso. È sbagliata perché espone al dubbio che si sottovaluti il problema della rimozione di genere, e che ci si renda complici di un episodio grave, anche se non voluto (o forse grave proprio perché non voluto). Perché è un compromesso, e i compromessi sono meno significativi, meno simbolici, meno ficcanti dei gesti drastici: un no suona più “scandaloso” di un sì, e come è noto «è bene che gli scandali avvengano» (Matteo, 18-7).
Mi restano da dire solo tre cose. La prima è che un problema che consente solo soluzioni sbagliate dev’essere, evidentemente, un problema enorme, molto intricato, spinoso, pieno di opacità e trabocchetti.
La seconda è che ha ragione Valeria Parrella quando suggerisce come «buona prassi quella di chiedere come è composto un programma prima di aderirvi». È giusto, nuove sensibilità richiedono nuove regole e nuove convenzioni. Per il futuro, e per quel poco che conta, lo farò.
La terza e ultima cosa da dire è quale dei due errori ho deciso di fare. Ho deciso di fare il secondo e di andare con Gianni Morandi all’Arena di Verona. Ho deciso di non fare il primo perché il senso di colpa, specie se del tutto improprio come in questo caso, non è mai un buon motore di cambiamento. Per bilanciare almeno in parte la mia partecipazione a un festival di troppi uomini il mio cachet per la serata veronese andrà a una onlus che si occupa di assistere donne in difficoltà.