Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  settembre 09 Mercoledì calendario

Quando la Cavese ammutolì San Siro

Eccoci. Eccoci a San Siro per la nona giornata di campionato. Abbiamo viaggiato di notte per essere qui poco dopo mezzogiorno di questo 7 novembre del 1982. Il popolo rossonero è presente e ci accoglie a ranghi serrati. Stipati nella curva sud ci sono tutti: Brigate rossonere, Commandos Tigre, Fossa dei leoni, Nobiltà rossonera e una miriade di club minori. Tutti sugli spalti, di fronte a noi, come legioni in attesa della battaglia. Grande prova, quella dei fedeli al diavolo. Questi hanno vinto coppe dei campioni, coppe delle coppe, scudetti, coppe intercontinentali e adesso si ritrovano in serie B. Retrocessi due volte nella serie cadetta in tre anni. Eppure eccoli, in massa, forti del legame con la maglia e i colori sociali.
Noi che apparteniamo a un’altra dimensione siamo partiti da Cava de’ Tirreni nella speranza di vedere i nostri compiere l’impresa. Lo speriamo sempre. Ma la trasferta a Milano, a San Siro, non è una trasferta come tutte le altre. Siamo in serie B con onore e giochiamo contro uno dei club più prestigiosi d’Europa e del mondo. Bisogna esserci. I rossoneri sono in testa al campionato come da pronostico. Noi della Cavese stiamo andando alla grande. Nelle prime otto domeniche abbiamo fatto dieci punti perdendo solo a Bergamo. Per il resto abbiamo quasi sempre vinto in casa e pareggiato fuori. Non male per una squadra che l’anno prima s’era salvata dalla retrocessione solo grazie alla classifica avulsa. Quando le formazioni entrano in campo il boato di San Siro ci fa accapponare la pelle. È uno stadio ripiegato su se stesso e l’effetto sonoro è violento, primitivo, delirante. Una bolgia di urla, applausi, slogan, canti, inni. Noi siamo stati direzionati in curva nord e lì ci troviamo, stipati e in parte intimiditi dal magnetismo e dall’ululato del Meazza.
Ma non siamo gente che si spaventa facilmente e dopo un momento di disorientamento tiriamo fuori i nostri stendardi e cominciamo a tifare per i colori sociali d’appartenenza. Noi siamo i metelliani e non abbiamo paura di niente e di nessuno. E lo stadio incute sì un certo rispetto, ma siamo qui per veder giocare i nostri ragazzi
e per sostenerli fino al novantesimo. Per molto tempo noi della Cavese siamo stati i parenti poveri della Salernitana, ma adesso veleggiamo in serie cadetta e i granata galleggiano a centro classifica nel campionato di serie C1. Quando arriva il momento dello schieramento a centrocampo dalla curva sud inizia il rutilante e tribale ritmo dei tamburi. Ne hanno a decine. Noi rispondiamo con i battimani e una sciarpata che colora di bianco e blu il settore ospiti. Come sempre l’emozione è da brividi quando i calciatori entrano in campo. È un rito che sa di arene, gladiatori, senatori romani e belve acquattate nell’ombra dei cunicoli di un anfiteatro. Omaggiamo i nostri eroi scandendo i loro nomi, anche se la bolgia che promana dalla curva sud è assordante e copre buona parte del nostro tifo. Ma noi inneggiamo a Santin, il mister che sta lavorando bene, al nostro portiere Paleari che ci ha salvati in più di una circostanza, al nostro simbolo, all’uomo di esperienza, a Giuseppe Pavone e al nostro bomber, Tivelli. I nostri se la dovranno vedere con dei veri e propri miti del calcio e con grandi calciatori. In campo tra gli avversari ci sono Tassotti e Franco Baresi, Pasinato e Aldo Serena e c’è anche lo Squalo scozzese, Joe Jordan, uno che la mette dentro alla prima distrazione della difesa avversaria. Ed è proprio lui, lo Squalo, il centravanti che quando scende sul rettangolo verde toglie la dentiera per apparire un cannibale alla ricerca di carne umana, che al 23esimo segna un gol che in realtà forse non lo è, ma che viene assegnato dall’arbitro Domenico Falzier di Treviso.
Sugli spalti quasi 40mila spettatori. Noi aquilotti saremo più o meno cinquemila e una buona parte resta ammutolita, mentre la frangia più estrema del tifo, quelli della Falange d’assalto, comincia a ingiuriare l’arbitro reo di aver concesso un gol fantasma. Intanto lo Squalo viene abbracciato dai compagni e il boato di San Siro risucchia le nostre proteste. Ma questa è una partita epica e tre minuti dopo pareggiamo. È Tivelli che si coordina in area e lascia partire un diagonale sul quale Piotti non arriva. Delirio biancoblù. Segnare il gol del pareggio con una squadra come il Milan, a San Siro, per noi rappresenta un’impresa storica. Al 55esimo Giuseppe Pavone si invola sulla fascia,
resiste a due cariche difensive e crossa. Di Michele, sistemato al centro dell’area piccola avversaria, si eleva e di testa la mette dentro. Milan uno, Cavese due!!!
C’è incredulità, gioia e speranza di farcela. I restanti trentacinque minuti sono un continuo assalto dei rossoneri coi nostri chiusi a difendere il risultato dall’arrembaggio avversario. Noi tifosi cavesi tratteniamo il fiato e lo facciamo per oltre mezz’ora e ogni volta che una palla finisce in tribuna un sospiro di sollievo si libera tra i gradoni della curva nord. Al fischio finale ci rendiamo conto di essere entrati nella storia. Questa partita entra nella leggenda. Il piccolo Davide ha abbattuto Golia solo che al posto di una fionda abbiamo usato un pallone di cuoio bianco a rombi neri. Tornare a Cava da vincitori diventa l’immagine simbolo di un club, di una città e di una intera generazione di tifosi abituati a raccogliere briciole di notorietà. Fantastico.
Per la cronaca la Cavese concluse il campionato al sesto posto in classifica. Il Milan tornò in serie A e, dopo tre quattro stagioni di attesa, cominciò l’era dei grandi successi targati Arrigo Sacchi.