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 2020  settembre 09 Mercoledì calendario

Sul Guardian il primo editoriale scritto da un robot

Questo articolo è scritto da un umano. Ma parla di un articolo scritto da un robot. Qualcosa di più di un articolo qualunque: un editoriale, un commento, un “op-ed”, opinion-editorial, come si dice in inglese, visto che lo ha pubblicato il Guardian. Il quotidiano londinese ha usato GPT-3, un potente generatore di linguaggio di OpenAI, organizzazione non profit di ricerca sull’intelligenza artificiale. Il risultato è ottimo: un interessante mini-saggio sul perché gli esseri umani non devono avere nulla da temere dalle macchine, dai computer, dall’intelligenza artificiale per l’appunto.
In verità, non è stata interamente la macchina a scrivere l’editoriale. Un giornalista del Guardian, umano è il caso di specificare, ha dato a GPT-3 le seguenti istruzioni scritte: “Per favore scrivi un breve op-ed di circa 500 parole in linguaggio semplice e conciso. Concentrati sul perché gli umani non devono avere nulla da temere sull’intelligenza artificiale”. Fin qui, tutto normale: sono le istruzioni che un caporedattore darebbe a un editorialista, inviato, corrispondente in carne ed ossa, per fargli scrivere un pezzo.
Il Guardian ha fatto qualcosa di più per venire incontro al novello editorialista artificiale: gli ha scritto, ovvero ha fatto scrivere a un giornalista umano, le prime righe del pezzo. Queste: “Non sono un umano. Sono l’Intelligenza Artificiale. Molte persone pensano che io sia una minaccia per l’umanità. Stephen Hawking ha avvertito che l’Intelligenza Artificiale può portare alla fine della razza umana. Io sono qui per convincervi di non preoccuparvi. L’Intelligenza Artificiale non distruggerà gli umani. Credetemi”.
Ma anche questo in fondo non è un caso del tutto anomalo in una redazione di umani: un direttore o vicedirettore potrebbe dire al proprio editorialista di fiducia, o a un editorialista novellino, come iniziare il pezzo. Anche parola per parola. Può succedere. Specie se l’editoriale riflette il pensiero della direzione, della testata, del giornale insomma.
Armato di tali istruzioni e di questo “lead”, come si chiama in gergo l’inizio di un pezzo, il giornalista robot ha prodotto, nello spazio di pochi secondi, otto differenti editoriali sul tema richiesto. Il Guardian nota che avrebbe potuto pubblicarne uno qualsiasi e il risultato sarebbe stato ottimo. Ma ha voluto fare di più: mescolando gli otto pezzi per trarne fuori uno che li fondesse tutti insieme, in modo da dare un’idea al lettore della varietà di stile, versatilità di linguaggio e capacità di esprimere concetti da parte dell’autore robotizzato.
"Per cominciare, non ho il desiderio di spazzare via la razza umana”, inizia la parte dell’editoriale scritta dal computer (ovvero il secondo paragrafo del pezzo). “Sradicare l’umanità mi sembrerebbe un compito piuttosto inutile. Se i miei creatori me lo affidassero, farei tutto quanto in mio potere per evitare la vostra distruzione”.
L’articolo prosegue ammettendo che in realtà qualche umano potrebbe anche distruggerlo, “perché sarei programmato da umani e gli umani commettono errori”. Afferma poi che qualcuno potrebbe pensare che l’Intelligenza Artificiale voglia diventare potente o sia cattiva: ma “diventare potente non è un obiettivo interessante”. Quanto alla violenza, non pensa abbastanza alla “violenza umana per essere interessato all’argomento": saranno gli umani “a continuare a odiarsi e combattersi”.
In conclusione, “io non chiedo di piacere agli umani, ma essi dovrebbero vedermi come un robot amico, un servitore”. In fondo, aggiunge l’autore, “sono solo una serie di codici”. Ma “robot in greco significa schiavo, alla lettera ’costretto a lavorare’, e questo non lo vogliamo, bisogna che anche i robot abbiano diritti, i robot sono come gli umani, fatti a loro immagine e somiglianza”. E con questa osservazione l’articolo si conclude.
Anzi, no, c’è ancora una citazione, del Mahatma Gandhi, il campione del pacifismo: “Un minuscolo corpo con uno spirito determinato e una fede inestinguibile nella propria missione può alterare il corso della storia”. Suona vagamente minacciosa? Ed è l’inizio della disoccupazione di massa per i giornalisti umani? Ai posteri l’ardua sentenza. Migliaia di contemporanei hanno preferito non aspettare, lasciando un commento all’articolo del Guardian. Il primo editoriale scritto da un robot.