Il Sole 24 Ore, 9 settembre 2020
Da Eni a Enel, resta lo smart working
Settembre non è mai stato un mese così frenetico nell’organizzazione del lavoro, come lo è quest’anno. La ripresa graduale e il rientro in sede non ci sono stati per molti milioni di lavoratori. «Il picco di smart worker è stato raggiunto prima dell’estate, in pieno lockdown, quando si è arrivati a oltre sei milioni di smart worker – dice Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano -. Adesso stiamo assistendo alle prime prove di rientro e, dati ancora parziali, ci portano a stimare che oggi siano 4 milioni i lavoratori che per una parte importante del loro tempo operano da remoto. Per molti di loro è in atto un progressivo ribilanciamento con una rampa molto regolata e ancora timida di parziale rientro in sede». C’è da capire cosa accadrà dopo il 15 ottobre e la possibile fine dello stato emergenziale che riporterebbe le vecchie regole, più complicate. «Certamente sembra impossibile far coesistere un protocollo sanitario di emergenza e il depennamento della procedura semplificata per lo smart working – osserva Corso -. Il 15 ottobre la scuola non sarà che agli inizi, così come la stagione influenzale ed è evidente che sarebbe rischioso e inopportuno allentare le misure proprio in quel momento».
Chi adesso non allenta le misure sono sicuramente alcune grandi società da Tim a Vodafone, da Eni a Enel, a Pirelli. «Il reale impatto dell’emergenza sanitaria sullo smart working lo vedremo in gennaio o comunque dopo l’arrivo del vaccino – continua Corso -. Oggi comincia a vedersi un certo strabismo in cui da un lato le aziende sono molto caute sull’oggi e dall’altro danno segnali di prospettiva di rientro per moderare alcuni effetti di stanchezza rispetto al lavoro a distanza forzato e a tempo pieno sperimentato in questi mesi. Dopo il grande sforzo iniziale si sente oggi il bisogno di portarsi verso modelli di smart working più bilanciati che recuperino socializzazione, comunicazione trasversale, identità anche per evitare che possa perdersi l’effetto inizialmente positivo sull’engagement dei lavoratori».
Nei casi in cui è possibile si lavora da casa, ma le aziende stanno trasformando le sedi per attrezzarle in vista dei rientri. Generalmente volontari e essenziali. Nei cassetti ci sono sempre i piani per gestire nuove emergenze. L’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, conferma che almeno fino alla fine di quest’anno la previsione della società è di mantenere ove è possibile tale soluzione per ridurre le occasioni di contagio, ferma restando la possibilità di modificare le relative indicazioni in relazione all’evolversi della situazione. Del resto in Enel gli oltre 150 Kpi analizzati hanno evidenziato che la produttività non è stata intaccata. Così, attualmente la società, che ha creato anche l’hashtag #Iolavorodacasa, ha 14.800 smart worker.
In Eni sta proseguendo il graduale rientro nelle sedi uffici di una parte del personale, tenendo come riferimento i protocolli siglati la scorsa primavera con i sindacati. Durante il lockdown 21mila lavoratori erano in smart working, di cui 15mila in Italia. Il personale operativo ha sempre assicurato con continuità la gestione delle attività sul territorio. Prima dell’inizio delle ferie estive, a livello nazionale nelle sedi uffici era presente circa il 15% del totale dei dipendenti previsti a regime. È ancora così, ma questa percentuale è destinata a crescere fino a un livello compatibile con le disposizioni in ambito salute e sicurezza e varierà anche in base all’evolversi dell’emergenza sanitaria.
Per Ilaria Dalla Riva, direttore hr e organizzazione di Vodafone Italia, «lo smart working si sta rivelando un elemento di resilienza per le imprese, che consente di assicurare, insieme, tutela della salute dei dipendenti e continuità operativa. L’esperienza dell’emergenza sanitaria ha segnato una linea di demarcazione, non solo verso un’adozione dello smart working più massiva, ma spingerà le organizzazioni verso modelli sempre più basati sul digitale». Vodafone è stata una delle aziende pioniere in Italia e questo ha consentito un piano pronti e via con il lockdown. «Svolgiamo un servizio essenziale, avremmo potuto continuare a lavorare in presenza – spiega Dalla Riva -. Grazie a un piano articolato di remotizzazione dei nostri 8 call center sul territorio nazionale abbiamo consentito a 6.000 persone, il 100% dei dipendenti Vodafone, di lavorare in smart working». Da settembre è stato avviato un piano graduale di rientro su base volontaria per un tempo non superiore al 20% dell’orario lavorativo. La premessa è che i dipendenti effettuino una formazione obbligatoria sull’adozione dei comportamenti idonei a ridurre il rischio di contagio. A loro disposizione ci sarà una app per la prenotazione della fascia oraria di ingresso dove viene misurata la temperatura e consegnato un kit di mascherine.
In Pirelli, in Bicocca a Milano, oggi il tasso di ricorso al lavoro da remoto è pari, in media, al 75% sul totale dei dipendenti della sede. Prima del lockdown era pari al 10%. L’obiettivo dell’azienda è ricorrere anche in futuro al lavoro da remoto, sulla base di un piano di gestione che punta a conciliare le necessarie misure sanitarie con un’equilibrata distribuzione tra presenza in ufficio e lavoro a distanza. Il rientro dalla pausa estiva, spiega la società, «impone massima cautela per la tutela dei dipendenti, priorità dell’azienda che, fin da subito, ha previsto una costante sanificazione degli ambienti, l’utilizzo obbligatorio di mascherine, la rilevazione automatica della temperatura e percorsi definiti per garantire il distanziamento».