la Repubblica, 9 settembre 2020
Calciatori, il futuro è il legamento sintetico
Nicolò Zaniolo non è solo. La lesione al legamento crociato sembra diventato l’infortunio principe dell’ultimo decennio, e non solo tra i calciatori di Serie A. In Italia si stimano circa 150 mila casi ogni anno, secondo la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, con un incremento intorno al 400 per cento dal 2010.
Cosa lo causi è abbastanza noto: il legamento si strappa per un movimento innaturale che porta alla torsione o a un’iperestensione del ginocchio. Ma cosa abbia fatto impennare i dati è più complicato spiegarlo. Ancora di più in una circostanza, come quella di Zaniolo, in cui le lesioni sono state due, a entrambe le ginocchia, in otto mesi. «A volte, il secondo legamento si rompe perché quello operato non è pronto da un punto di vista dell’utilizzazione. Insomma, se è poco allenato».
Così la pensa Giuliano Cerulli, visiting professor all’università di Hiroshima e professore ordinario di ortopedia e traumatologia dello sport, sollevando una questione non proprio secondaria: la prevenzione. «È l’aspetto fondamentale», spiega, «per ogni giocatore è necessaria una valutazione biomeccanica per studiarne l’apparato muscolo scheletrico, eventuali deficienze muscolari o criticità motorie. E poi è fondamentale che la preparazione atletica non sia solo tecnica, ma si concentri anche sulla conoscenza dei movimenti».
Ma il caso di Zaniolo è particolare: la rottura del crociato del ginocchio sinistro è arrivata dopo quella del destro. Un fattore molto comune negli ultimi anni, basti pensare a Milik, a Perin, che come lui hanno riportato la lesione di entrambi i legamenti. Cerulli ha una spiegazione per leggere l’incidenza crescente di questa eventualità: «Bisogna studiare eventuali fattori, come alterazioni anatomiche, che rendano più predisposti a una rottura del crociato dopo essersene già rotto uno. Il bilanciamento tra muscoli agonisti e antagonisti ad esempio. Per prevenire bisognerebbe allenare il tempo di latenza. Ossia ridurre il tempo che il corpo impiega a trasformare un’informazione ricevuta dal cervello in azione muscolare. Un uso tardivo di un muscolo, può lasciare scoperta la struttura». A proposito della prevenzione, Alfonso De Nicola, ex medico sociale del Napoli, sostiene da anni «lo studio del Dna per la predisposizione alla rottura dei legamenti, si tratta però di una cosa molto difficile».
Il fattore scarpe-terreno
La vera domanda è: che conseguenze lascia la rottura del legamento? Intanto serve cautela, tanta: «È fondamentale rispettare i tempi – continua Cerulli – e non cercare di fare record. Io ai miei pazienti per tre mesi non faccio fare neanche cyclette, perché qualunque trauma è un rischio, invece vedo atleti sui social che dopo tre o quattro settimane palleggiano». In ogni caso, anche dopo l’intervento si può tornare al proprio livello. Anche al cento per cento, secondo Antonio Spataro, direttore sanitario dell’Istituto di medicina dello sport: «Mi dispiace tanto per Nicolò, lo conosco e sono affranto. Spero torni e, vista la sua età, ha ottime possibilità di ritornare esattamente il giocatore che è». Sulle cause, si parla spesso di fattori comuni a tutti i club: «Le carriere sportive sempre più lunghe, ma non è il caso di Nicolò. I tanti impegni ravvicinati, il poco spazio per allenarsi, i campi su cui si gioca a volte stressati». Ma c’è anche un fattore a sorpresa: «Il rapporto tra scarpa, tacchetto e terreno non è quasi mai ottimale. E può essere una causa rilevante». E il futuro? «Stiamo studiando un legamento sintetico, che si umanizza dopo l’innesto», racconta Cerulli. Gli Zaniolo di domani, forse, si cureranno così.