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 2020  settembre 09 Mercoledì calendario

Intervista a Nick Hornby

Essere o non essere simili, questo è il problema. Parafrasando il classico dilemma shakespeariano, Nick Hornby mette al centro del suo nuovo romanzo una coppia che non potrebbe essere più diversa: Lucy è un’insegnante bianca, quarantacinquenne, divorziata, madre di due figli e contro la Brexit, Joseph è un macellaio nero, venticinquenne, single ed euroscettico. Proprio come te , che esce il 17 settembre in contemporanea in mezzo mondo (pubblicato in Italia da Guanda), non è tuttavia soltanto una commedia romantica per capire se sia vera o falsa la nota massima secondo cui gli opposti si attraggono. Come tutti i precedenti libri dell’autore di Febbre a 90 , Alta fedeltà e Un ragazzo , anche questo è un apologo sociale, in cui le divisioni dell’Inghilterra odierna, e più in generale della società occidentale al tempo del populismo e della pandemia, vengono affrontate con la sua consueta ironia. E con una morale più vicina al carpe diem di Orazio che all’irrevocabile to be or not to be dell’ Amleto .
Partiamo dalla fine, Nick: come ha trascorso la pandemia?
«Non sono riuscito a leggere molto, e mi dispiace: facevo fatica a concentrarmi su un libro, so che anche altri hanno avuto la stessa reazione. In compenso ho guardato un sacco di film e serie televisive. E ho scritto parecchio. Nel complesso, non mi lamento: è uno di quei momenti in cui concordi che quando c’è la salute, c’è tutto».
Da dove viene l’idea per "Proprio come te"?
«Da due idee separate. La prima, a cui pensavo da tempo, è immaginare una storia d’amore fra due persone totalmente differenti, per età, origine etnica, classe sociale, idee politiche.
La seconda ha a che fare con la nostra storia recente, il referendum sulla Brexit del 2016 e il dibattito che ne è seguito e non si è ancora esaurito: è possibile ricomporre un Paese così ferocemente diviso in due? Nella vita c’è altro al di là della Brexit?».
I due protagonisti non sono però accesi militanti dell’una o dell’altra parte.
«No. Joseph non è veramente un brexitiano, Lucy è un’antibrexitiana riluttante. Cionostante, anche per le tribù sociali a cui appartengono, riflettono i due campi avversi».
Il libro è anche uno spunto per parlare di "toy boy", ovvero di donne che stanno con uomini molto più giovani?
«Volevo rendere i miei personaggi diversi in tutto, così ci ho messo pure l’età. Del resto, sempre più donne hanno relazioni con uomini più giovani, rovesciando il concetto dell’uomo maturo che si innamora di una donna giovane. Può succedere».
Cosa avrebbe pensato di questo rapporto Rob Fleming, il protagonista di "Alta fedeltà"?
«Probabilmente avrebbe detto che non poteva funzionare, perché per Rob era molto importante la musica, anche per il macellaio Joseph è importante, mentre per Lucy mica tanto. Ma Alta fedeltà è uscito un quarto di secolo fa. Le relazioni sono enormemente cambiate».
Qual è il cambiamento più eclatante?
«Il primo che mi viene in mente sono i social media, che nel 1995 non esistevano e che oggi sono un aspetto cruciale. E che offrono infinite opportunità relazionali, per incontri a lungo e a brevissimo termine. E poi ci sono i tempi oggettivamente difficili, carichi di ansia, in cui viviamo: dalla Brexit alla pandemia, dal terrorismo alla crisi economica, attraversiamo un periodo molto più carico di incertezze rispetto alla Cool Britannia di fine anni Novanta».
Le va bene "commedia romantica" come definizione di questo libro?
«Preferirei commedia sociale».
Aiuta infatti a sorridere su un’attualità che non fa ridere: a un certo punto del romanzo qualcuno paragona la Brexit a una religione, con i credenti e i non credenti, ma nessuno dei due gruppi può convincere l’altro se dio, per così dire, esiste.
«Prima o poi sarà possibile dimostrare chi ha ragione in questo dibattito. Ma è ancora troppo presto. Le conseguenze economiche non sono ancora abbastanza evidenti. I conti si faranno fra degli anni. Cosicché il dibattito in corso è totalmente sconnesso dalla realtà. Ognuno può sostenere quello che vuole. È questo atteggiamento surreale che volevo mettere in evidenza nel libro. E non si limita alla Brexit, lo stesso discorso è applicabile al coronavirus, ci sono quelli che lo minimizzano e quelli che lo vedono come un flagello, ma solo più avanti ci renderemo pienamente conto delle conseguenz e».
Per chiarire il punto di vista dell’autore: lei sulla Brexit come si è schierato?
«Voto laburista, vivo a Londra, non ho cambiato le mie idee: non solo ho votato contro la Brexit, ma lo hanno fatto anche tutti quelli che conosco, da mia suocera ai miei migliori amici.
Personalmente, temo che il risultato sarà catastrofico per il nostro Paese e in generale per l’Europa».
Quando uscì "Alta fedeltà" era possibile, attraverso il suo romanzo, innamorarsi dell’Inghilterra. Oggi è ancora possibile innamorarsene, attraverso un libro o una canzone?
«Da autore vorrei poter rispondere di sì. Ma è oggettivamente più difficile.
Lo spirito del tempo è ansioso, incerto, negativo, il che si riflette anche nella narrativa o in ogni espressione culturale. Detto ciò, io ho la fortuna di abitare a Londra, in una bolla cosmopolita, tollerante, aperta.
Di questa città spero ci si possa innamorare anche oggi. E in questa città ci si può innamorare, a dispetto delle diversità, come racconto nel mio romanzo».
Il cui messaggio è che non esiste una formula magica dell’amore, una teoria delle relazioni sentimentali: insomma in amore è possibile tutto e il contrario di tutto?
«Più o meno. O semplicemente conviene puntare a essere felici oggi, senza preoccuparsi troppo di come andranno le cose domani. Si vuole credere che ci innamoriamo di una persona perché ha le nostre stesse idee politiche o perché legge i nostri stessi libri. Ma avere le stesse idee politiche o gli stessi gusti letterari, dopo dieci anni di relazione, non è necessariamente utile per mantenere in vita l’amore. Insomma, cogli l’attimo e ringrazia di averlo».
Si avvicina un anniversario: trent’anni dalla pubblicazione di "Febbre a 90", il suo primo libro. Si sente realizzato, come scrittore?
«La mia ambizione era sfamare me stesso e i miei cari scrivendo: ci sono riuscito. Trent’anni dopo, sento di avere ancora voglia di raccontare storie. Ai romanzi ho aggiunto le sceneggiature, ormai mi divido a metà fra gli uni e le altre. Avanti il prossimo, dunque!».
A proposito di "Febbre a 90": e il suo Arsenal?
«Abbiamo un allenatore giovane e una squadra di giovani promettenti che può solo crescere: sono pronto a sostenerli anche quando perdono, in attesa che tornino tempi più eroici. E mi auguro che la pandemia serva a cambiare un po’ il football, frenando le spese folli, riportandoci sulla terra. E riportandoci tutti allo stadio!»