la Repubblica, 9 settembre 2020
Trump spende per lusso, staff e bodyguard
Il magnate della Casa Bianca è a corto di soldi? Negli ultimi 55 giorni della campagna elettorale, a scarseggiare di risorse è proprio Donald Trump. Al punto che lui annuncia: potrei spendere cento milioni di dollari di tasca mia. Difficile prenderlo sulla parola, perché in passato ha fatto il contrario, se possibile ha dirottato i contributi altrui anche per recuperare le sue spese personali. Ma l’annuncio clamoroso conferma una difficoltà reale. Ufficialmente, nel 2016 di soldi suoi Trump spese 66 milioni, e all’epoca erano pochi a credere nella sua vittoria. Quest’anno ha tutta la forza di un “incumbent”, un presidente in carica che gareggia per la rielezione, e malgrado sia sfavorito dai sondaggi dovrebbe avere le casse piene di donazioni da tutte le lobby che si aspettano vantaggi.
Quell’annuncio sui cento milioni di denaro personale arriva, guarda caso, nel giorno in cui un’inchiesta del New York Times, rovistando in tutti i documenti contabili che la campagna è tenuta a depositare, arriva a questa conclusione: il presidente è in affanno rispetto a Joe Biden, proprio quando la gara entra nel rettilineo finale. È il momento in cui l’attenzione degli elettori sale, gli indecisi si concentrano sui candidati, possono cambiare intenzioni di voto. Le ricerche del New York Times rivelano che in primavera Trump aveva un tesoro di guerra di un miliardo, ma più di 800 milioni sono spariti. Tutto il suo vantaggio finanziario su Biden si è volatilizzato e oggi il rapporto di forze è rovesciato, anche grazie a una notevole performance del candidato democratico in agosto (365 milioni raccolti solo in quel mese).
Ma come ha fatto Trump a dilapidare i quattro quinti dei finanziamenti in così poco tempo, e in un periodo in cui ancora la campagna procedeva a rilento? Tra l’altro le occasioni di spesa si sono ridotte, a causa dei lockdown che hanno fatto di questa campagna la più virtuale della storia, con un numero esiguo di raduni. Sono sempre le analisi fatte sui bilanci obbligatori della campagna, a dare alcune indicazioni: Trump ha sperperato soldi in spese non strettamente collegate alla sua rielezione, ma più spesso riconducibili al suo tenore di vita e alle sue abitudini; qualcuno dei suoi consiglieri ha cominciato a imitarlo. Si scopre ad esempio che il presidente ha obbligato il partito repubblicano ad accollarsi lo stipendio sontuoso della sua guardia del corpo favorita, un bodyguard che non appartiene al Secret Service ma lo accompagna dai tempi del suo business privato alla Trump Tower.
Un’altra spesa discutibile, ancorché collegata alla campagna, è stata l’acquisto di spazio pubblicitario per 11 milioni durante la finalissima del SuperBowl. In quel caso i maligni sostengono che Trump è stato mosso dalla vanità personale, dopo aver saputo quanto avrebbe speso il suo nemico Michael Bloomberg. Ma per l’ex sindaco di New York quel tipo di spesa è modica: la sua fortuna personale è stimata in 60 miliardi, un multiplo di quella di Trump (che probabilmente non arriva al miliardo, ed è avvolta nell’opacità). In cima alla classifica dello sperpero, e della cattiva amministrazione, figura lo staff mastodontico e costoso assemblato dall’ex capo della campagna Brad Parscale: uffici sontuosi e tanto personale, una macchina che per gestire la raccolta di donazioni ha assorbito 350 milioni di spese.
Tra le operazioni discutibili, ma non certo sorprendenti: Trump avrebbe scaricato sui fondi della campagna anche una parte delle sue spese legali (in fondo si tratta pur sempre di tutelare l’immagine del candidato). Infine tutto questo largheggiare sembra aver contagiato lo stesso Parscale, che a spese dei donatori si concedeva un trattamento da vip con autista personale. Al di là dei possibili abusi, però, colpisce un precedente. La raccolta fondi della campagna Biden ha avuto un crescendo formidabile e lo vede in netto vantaggio, però era vero anche per Hillary quattro anni fa, e per la destra populista è la conferma che l’establishment tifa democratico.