Corriere della Sera, 9 settembre 2020
Carlo Petrini racconta il Papa a tavola
«Bergoglio e io, due personaggi che più diversi di così non si poteva. E invece è filata liscia... forse merito delle comuni origini piemontesi». Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sorride ricordando le lunghe chiacchierate con il Pontefice – una del 2018, una del 2019 e una del marzo 2020, in piena pandemia – che hanno dato corpo al suo ultimo libro, Terrafutura. Dialoghi con papa Francesco sull’ecologia integrale, uscito ieri per Giunti e presentato nella sede di Radio Vaticana. Un libro a scopo benefico (il ricavato andrà a un nuovo centro delle Comunità Laudato si’, aggregazioni di cittadini nate dopo il terremoto di Amatrice) che, oltre al confronto diretto con il Santo Padre, analizza attraverso cinque temi – biodiversità, economia, migrazioni, educazione, comunità – il mondo di oggi.
Decisamente da cambiare, secondo entrambi gli interlocutori.
«Sì, ci siamo trovati molto allineati. Anche se io sono agnostico... gliel’ho detto subito, e lui mi ha risposto che sono un agnostico pio, perché provo pietà per la natura».
E ha anche aggiunto che è un atteggiamento nobile.
«Siamo d’accordo sul fatto che avere questa sensibilità, oggi, sia l’unico modo per provare a cambiare le cose. Anche lui ce l’ha, ha scritto nel 2015 un’enciclica potentissima, il Laudato si’, in cui introduce il concetto di “ecologia integrale” che dà il titolo a questo libro. La portata di quel documento secondo me non è ancora stata capita. Né dal mondo laico, che la considera uno scritto religioso, né da quello cattolico, che lo ritiene ecologista. Non è un’enciclica ecologista, è un’enciclica sociale».
Perché le due cose coincidono.
«Certo: l’ambiente non è scollegato dalla società che lo abita. Anche noi siamo ecologia, come dice il Papa. Finché non lo capiremo non si risolverà nulla. Continueremo a sottoporre la terra, i mari, gli ecosistemi a un degrado tale che rischia di trasformarsi in un disastro irreversibile.».
Come invertire la marcia?
«Le prime cose che mi vengono in mente sono piccole, personali: non sprecare il cibo, ridurre l’uso della plastica e mettere al centro le relazioni, non il profitto».
Dai vostri dialoghi emerge che il Papa nella sua residenza usa una sola bottiglia di plastica, che ricicla, e che la luce della casa arriva dai pannelli solari.
«Il bello di queste conversazioni informali è che sparigliano: con esempi minuti si parla di grandi cose. È il valore del dialogo: la componente umana».
Nel libro sua Santità cita bagna cauda e tajarin. Però di secondo, a casa sua, mangiava l’asado argentino.
«Da gastronomo ho parlato con lui di cibo e siamo d’accordo sul fatto che sia un ponte, un mezzo di conoscenza reciproca, e che tutte le culture del mondo derivino dal meticciato. Perché il mondo nasce dalle migrazioni, le stesse che oggi si vogliono stigmatizzare come se il problema fossero i nostri simili che soffrono e non un sistema che opprime. Il Papa dice: senza migrazioni e senza figli che futuro ci aspetta?».
Avete formulato, parlando, diversi attacchi: al populismo, all’egoismo, al consumismo, all’economia selvaggia, alla finanza «che è carta»
«Il Papa li chiama i virus di oggi. Ma è proprio così: di capitalismo si muore, basti pensare alle persone decedute sul lavoro per sfruttamento. Il populismo spaventa gli animi e chiude i confini. L’idea che viviamo per massimizzare il nostro benessere va cambiata: da homo oeconomicus dobbiamo diventare homo comunitarius».Qualcosa su cui non eravate d’accordo?
«Io ho fatto notare che la Chiesa cattolica ha sempre mortificato il piacere. E il Papa ha fatto un ragionamento straordinario: ha detto che non è così, che il piacere umano è accettato. Il piacere di mangiare serve così ci si mantiene in salute, mentre quello sessuale è fatto per rendere più bello l’amore e garantire la prosecuzione della specie. Mi ha colpito molto. Del resto sua Santità, da vescovo, faceva vedere Il pranzo di Babette, il suo film preferito, ai seminaristi per spiegare il concetto di dono. Non mi sembra poco».