«Sì è vero», dice Caetano ridendo al telefono dalla sua casa di Rio De Janeiro, «doveva essere un vero e proprio documentario, con altre interviste, pezzi di repertorio, dovevano riprendere le location dove si svolsero i fatti. Poi Renato Terra e Ricardo Calil, i due registi, hanno realizzato questa lunga intervista che doveva essere la linea guida del film e alla fine hanno detto: ma il film è questo, non serve altro».
Un artista in prigione è come un uccello a cui vengono tagliate le ali.
Caetano aveva ventisette anni quando nel periodo di Natale del 1968 fu prelevato dai militari insieme al suo amico Gilberto Gil e messo in cella d’isolamento per giorni senza che nessuno gli dicesse neanche la ragione per cui erano stati presi.
È stato un evento che ha segnato la sua vita, per sempre?
«Per forza. Passai giorni in cui ogni momento pensavo che stessero per venirmi a prendere per uccidermi, una settimana di isolamento e poi due mesi di carcere "normale", senza spiegazioni e senza alcun sollievo… un incubo di cui non si vedeva la fine».
Lei racconta con dettagli, si emoziona, piange, ride, come se la storia fosse ancora viva nella sua memoria. Eppure era un racconto che aveva già completato in un libro. Ma nel film sembra raccontarlo per la prima volta.
Com’è possibile?
«Dirlo a voce è tutt’altra cosa che scrivere. C’era già un libro con un capitolo chiamato Narciso em férias in cui raccontavo la prigionia e nel 2017 mi fu chiesto di scrivere un libro separato con quella vicenda, allora pensammo di farne un doc. Ma per il film non ho letto quello che avevo scritto, ho raccontato la storia così come mi veniva in mente e in più avevamo appena trovato dei documenti che non avevo mai visto prima. E non credevo che potesse succedere, sta di fatto che un amico di mio figlio è riuscito a trovare i verbali dell’interrogatorio che i militari mi fecero alla fine della prigionia. Credevo che fossero persi, anche perché tutta la vicenda più che un arresto o una detenzione fu in effetti un vero e proprio rapimento, con tanto di tortura psicologica, era tutto caotico e incomprensibile, non c’erano carte, non c’era un processo, credevo che non avrei mai trovato nessun documento, e invece trovarmi davanti il resoconto di quell’interrogatorio mi ha sconvolto, mi ha fatto rivivere esattamente le emozioni di quei momenti».
Tra un racconto e l’altro arrivano anche delle canzoni, meravigliose e drammaticamente intrecciate a quelle storie…
«Ovviamente in quei giorni mi aggrappavo alle canzoni. Poi quando la mia prima moglie Dedè riuscì a entrare mi portò una foto eccezionale, la prima foto della Terra scattata dallo spazio. E lì pensai alla canzone Terra (uno dei più conosciuti capolavori di Caetano
ndr), solo nell’immaginazione perchè non avevo neanche una chitarra. La concessero a Gil, perché lui era laureato…».
A proposito di Gil, in fondo è anche la sua storia. Ha visto il documentario? Cosa le ha detto?
«Sì certo che è anche la sua storia, l’abbiamo vissuta insieme e insieme, quando ci hanno liberato, siamo andati in esilio a Londra. Ma no, non l’ha ancora visto, nessuno l’ha visto, io sono chiuso in casa a Rio, Gil è in una fattoria vicino Rio. Per assurdo ci siamo parlati per la prima volta di questo ieri perché ci hanno collegati in video, come si usa adesso e ci siamo parlati guardandoci grazie alla televisione dopo tanto tempo».
Per molti il film sarà una sopresa.
Non tutti sanno quanto è stata drammatica quella vicenda, forse molti non sanno neanche che sia successo…
«Vero, e neanche in Brasile tutti conoscono questi eventi, ai tempi nessuno sapeva perché nessuno ne parlava, era tutto censurato, quando poi tornammo in Brasile dopo l’esilio era passato tutto e nessuno voleva più parlare di quelle brutte cose».
Rimane il fatto che ha avuto la forza di rimanere lì davanti alla camera per tutto quel tempo a raccontare il momento più drammatico della sua vita. Non deve essere stato facile…
«Godard disse un giorno: "Forse un film dovrebbe essere semplicemente un uomo che racconta la sua storia davanti alla cinepresa"».