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 2020  settembre 08 Martedì calendario

Sul caso Alain Cocq

Ha chiesto la diretta Facebook non per amore dello spettacolo, ma per amore del Diritto. Malato incurabile da 34 anni, Alain Cocq, arrivato a 57, vorrebbe staccare cannule e sondini davanti a una videocamera non per esibire la morte, ma al contrario per proteggere la dignità della vita. Inutilmente infatti ha chiesto l’assistenza medica per liberarsi di un corpo ormai inadeguato alla vita che deve portare. Dopo essersi appellato alla Francia, al presidente Macron e all’intero mondo distratto e irridente, Cocq ha dunque provato a consegnarsi al social network che però, purtroppo, con burocratica ferocia lo ha oscurato. Eppure quello di Cocq non sarebbe stato lo show morboso e stupido di un’agonia. Voleva lo scandalo, è vero. Ma da cattolico offriva lo scandalo cristiano della propria sofferenza, lo scandalo evangelico come lezione di filosofia politica – politica radicale – sui diritti negati.
E se ci fosse in giro, in Francia, in Italia, in Europa, un Marco Pannella giovane, un altro geniale, allampanato guardiano dei diritti, capace come fu lui di usare il corpo per salvare la politica, sicuramente sarebbe a Digione, non solo per tenere la mano a Alain Cocq ma per diventare la sua cassa di risonanza, il suo microfono, la sua telecamera. Cocq non può più usare nemmeno la sedia a rotelle. Imbottito di morfina, è costretto a restare a letto con lo sguardo fisso al soffitto, vittima di continui shock che, come raffiche elettriche, gli aggrediscono gli organi vitali ogni volta che le pareti delle arterie gli si incollano bloccando la circolazione del sangue. La nostra Anais Ginori ci ha raccontato che Cocq è un militante per i diritti dei disabili, un simbolo dell’Association pour le droit de mourir dans la dignité e l’anno scorso ha pure partecipato su una barella alle manifestazioni dei gilet gialli. Ebbene a quest’anima radicale, devastata da una malattia così rara che non ha neppure un nome, a questo corpo sfasciato da un sovrappiù di umanità, il «Pannella che non c’è», il nostro immaginario giovane Pannella offrirebbe se stesso e anche la diretta streaming, magari con i poveri mezzi di Radio Radicale. E spiegherebbe al mondo che la parola “suicidio” usata dalla direzione di Facebook per negargli il diritto alla diretta non c’entra nulla con la decisione di Cocq di staccare tutte le diavolerie con le quali la medicina, accanendosi sul suo dolore, gli impedisce di liberarsi di un corpo che da tempo ha smesso d’essere la sua custodia ed è diventato il suo esilio, il suo sepolcro. Voleva mostrare in diretta web che a volte l’estremo segnale di vita è l’abbandono della vita, la fuga della vita, come accadde a Emilio Vesce, Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, dj Fabo … Anche loro vennero accusati di essere esagitati, piazzaioli e spettacolari. Ma sarebbe difficile trovare un’uscita di scena più sobria ed elegante della sparizione del corpo radicale di Alain Cocq in diretta Facebook.