La Gazzetta dello Sport, 8 settembre 2020
Djokovic il cattivo
Le migliori intelligenze sono, per natura, sempre e ovunque ribelli al potere. Senza quel senso di sfida al mondo che lo accompagna fin da ragazzino, Novak Djokovic non si sarebbe costruito un ruolo da leggendario prim’attore sul palcoscenico del tennis. Dotato di una personalità e di una sensibilità fuori dall’ordinario, Nole non si è mai accontentato. Non si è accontentato, a 17 anni, di essere confuso nel gruppo di Piatti e non invece l’unico pupillo del coach; non si è accontentato, dopo i primi grandi successi, di stare all’ombra di Federer e Nadal a raccogliere le loro briciole, rafforzando il fisico e la mente fino a raggiungerli; e, fondamentalmente, non si è mai accontentato di essere soltanto un giocatore, seppur fenomenale.
Sotto pressione
Il problema è che questo continuo afflato da uomo in missione, appena mitigato dall’affetto della famiglia e degli amici più cari, alla fine gli ha presentato il conto nel modo più subdolo e incredibile: una pallina scagliata senza volontarietà contro i teloni di fondocampo si trasforma in un proiettile che colpisce alla gola un’ignara giudice di linea. Espulsione immediata dal torneo. Da numero uno del mondo e oltremodo favorito, una vicenda che certo non voleva provocare e che però si infila nella storia dello sport come il morso di Tyson o il calcio da karateka di Cantona. Novak può senza dubbio appellarsi al destino avverso e alla cattiva sorte, perché le possibilità di centrare la donna erano infinitesimali, eppure in quel gesto (ripetizione di un altro analogo pochi minuti prima) si nascondeva tutta la frustrazione dell’ultimo Djokovic, nervoso e fuori controllo nonostante un 2020 agonistico di livello stellare. Ma 26 vittorie su 26 prima del pasticciaccio contro Carreño, i successi in serie all’Atp Cup, agli Australian Open, a Dubai e infine a Cincinnati non hanno potuto esorcizzare l’enorme pressione con cui convive da marzo. Il fuoco del tormento si è certamente acceso con il caos dell’Adria Tour, che doveva rappresentare il simbolo della rinascita e un messaggio neppure troppo velato agli organizzatori degli Us Open e alle loro inique restrizioni e invece è diventato un duro colpo alla sua immagine di leader superomistico, con la positività a quel virus di cui poche settimane prima contestava addirittura la pericolosità. Poi, una volta accettato il viaggio in America, si è reso conto che in assenza di Nadal e Federer nessuno gli avrebbe perdonato un risultato diverso dal trionfo agli Us Open, e anche in quel caso gli avrebbero imputato la vittoria di uno Slam dimezzato. E, come se non bastasse, ha scelto la ripresa dell’attività per capeggiare la rivolta contro l’Atp, creando una nuova associazione dei giocatori. Così, in un momento della carriera in cui per età, talento e presumibile calo dei grandi rivali avrebbe dovuto concentrarsi solo sul gioco per dare la spallata definitiva agli albi d’oro e dominare finalmente anche nei numeri (è a uno Slam da Nadal e a due da Federer, inoltre a marzo 2021 supererà, salvo cataclismi, le 310 settimane complessive di Roger al vertice del ranking), si ritrova nell’abisso delle polemiche e con una macchia indelebile.
Senza alternative
Ovviamente, trattandosi del più forte giocatore del mondo e di uno degli sportivi più popolari del pianeta, il caso Djokovic ha scatenato le reazioni più disparate, accendendo gli animi di innocentisti e colpevolisti, anche se il suo signorile post di scuse dovrebbe essere appeso nelle camere dei più facinorosi. Del resto non esistevano alternative, come ha testimoniato il capo degli arbitri Soeren Friemel, l’uomo che ha materialmente allontanato dal campo il serbo (multato di ulteriori 8.500 euro per aver evitato la conferenza stampa): «Novak ha colpito la palla con rabbia e sconsideratamente, la donna era chiaramente ferita e sofferente. Non esisteva un’altra opzione che la squalifica». Insomma, anche se ci sarà un nuovo campione Slam dopo sei anni, gli Us Open 2020 passeranno alla storia come quelli del fattaccio del numero uno. E figuratevi se Kyrgios poteva stare zitto: su Twitter ha lanciato un sondaggio per chiedere quanti anni gli avrebbero dato se la pallina l’avesse tirata lui. Oltre il danno, la beffa. Nole, guarda cos’hai combinato.