Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 17 Domenica calendario

Che cosa sono R0 e Rt0

Dopo l’adozione delle misure di contenimento dell’infezione da SarsCoV-2, il tasso di contagiosità è significativamente diminuito in tutta Italia. L’Istituto superiore di Sanità ha comunicato che l’indice Rt (erre con t) si attesta mediamente su un valore compreso tra 0,2 e 0,7 già a partire dagli inizi di aprile (con l’eccezione dell’Umbria che nell’ultimo bollettino ha un Rt di 1,23). Ma se fino a poco tempo fa tutti parlavano di R0 (erre con zero) perché ora si parla di Rt?

Che cosa è R0Da quando è scoppiata la pandemia, qualsiasi italiano sa che è importante che il tasso R0 scenda sotto il valore di uno. R0 è un parametro utile a valutare l’andamento di un’epidemia provocata da una malattia infettiva, nella sua fase iniziale in assenza di interventi. Rappresenta il cosiddetto «numero di riproduzione di base» cioè il numero medio di infezioni secondarie causate da ciascun individuo infetto in una popolazione che non sia mai venuta in contatto con un determinato patogeno, nel nostro caso il virus Sars-CoV-2. Nel caso in cui R0 sia pari a 1 significa che un singolo malato potrà infettare una persona, se invece è uguale a 2 ne contagerà due e così via. Maggiore è il valore di R0, dunque, tanto più elevato è il rischio di diffusione dell’agente infettivo.


Le misure di contenimento hanno trasformato il parametro in RtIn Italia, all’inizio dell’epidemia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento ha calcolato R0 nelle regioni più o meno colpite dal virus. In Lombardia, secondo questa stima, si è partiti da un valore iniziale di R0 di 2,96, in Veneto di 2,51, in Emilia Romagna di 2,84, in Toscana di 2,5, nel Lazio di 3 e in Puglia di 2,61. Dopo l’adozione delle misure di contenimento dell’infezione da SarsCoV-2, il tasso di contagiosità è significativamente diminuito in tutta Italia. Abbiamo visto che nelle ultime pubblicazione dell’ISS mostra un indicatore diverso da R0, riportando la misura della potenziale trasmissibilità del coronavirus con un parametro differente, l’indice Rt. Ma che differenza c’è tra i due parametri? R0 indica la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva nella sua fase iniziale in una popolazione suscettibile, Rt descrive invece il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia. In sintesi R0 rappresenta il numero, in media, di casi secondari di un caso indice mentre l’Rt è la misura della potenziale trasmissibilità della malattia legata alla situazione contingente, cioè la misura di ciò che succede nel contesto. Questo virus, per capirci, ha un R0, in media, di 2,5 casi secondari, mentre l’indice di trasmissibilità Rt, in questo momento, è compreso tra 0,2 e 0,7, perché sono stati messi in atto dei sistemi di contenimento che ci stanno permettendo di ridurre il numero di casi.

Ld difficoltà di calcoloMa quali sono le variabili che incidono sul parametro Rt? «Intuitivamente è apprezzabile che il valore – spiega l’epidemiologa Stefania Salmaso – è direttamente proporzionale al numero di contatti per giorno del caso primario (più persone incontra, più persone si infettano), alla durata della sua fase di contagiosità (più a lungo rimane contagioso, più è alto il numero delle persone che contagia), alla probabilità di trasmissione dell’infezione per singolo contatto». Un punto cruciale è la difficoltà di calcolare l’indice senza avere la data di insorgenza dei sintomi della malattia. Purtroppo la mole di dati raccolta per i casi registrati nella sorveglianza nazionale comporta un certo numero di informazioni mancanti. Da quanto pubblicamente disponibile, la data di insorgenza dei sintomi è presente in circa 90.000 dei circa 157.000 casi registrati. Quando manca la data di inizio sintomi, viene usata la data dell’accertamento virologico dell’infezione. Se gli accertamenti fossero fatti tutti alla stessa distanza dall’inizio sintomi, usare una data o l’altra non farebbe grande differenza, per riconoscere le diverse generazioni di contagi, ma in realtà sappiamo che il sistema di accertamento è andato in affanno in molte aree del Paese e i tamponi sono stati effettuati come si poteva, quando si poteva. Inoltre, c’è un altro aspetto che mi sembra meriti attenzione. R è una stima di intensità di trasmissione nella popolazione generale in cui si assume che tutti abbiano le stesse probabilità di contrarre l’infezione. Chi sta a casa, rispettando i divieti, inevitabilmente si chiede come si siano contagiate le migliaia di casi che ogni giorno ci vengono dati per nuovi. Nelle condizioni attuali non tutti hanno le stesse probabilità di contagio. Ad esempio i familiari conviventi di un caso isolato a casa propria hanno certamente una probabilità maggiore di infettarsi ed essere riconosciuti, come pure un residente o un operatore di una struttura, ad esempio una RSA, in cui si è verificato almeno un caso di infezione.