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 2020  settembre 07 Lunedì calendario

Borse, l’assalto ai gestori dei mercati

A 24 anni dalla sua privatizzazione e a 13 dalla cessione alla Borsa di Londra, si profila una corsa a tre per conquistare Borsa Italiana. Piazza Affari è stata messa in vendita dal gruppo London Stock Exchange per incassare 3,3 miliardi che serviranno a finanziare parte dei 22,7 necessari al Lse per comprare Refinitiv, provider di servizi finanziari controllato al 55% da Blackstone e al 45% da Thomson Reuters.
In gara per accaparrarsi Milano ci sono la Borsa francolandese Euronext, principale piazza finanziaria europea per capitalizzazione (oltre 4.300 miliardi, otto volte Milano e più del doppio di Francoforte), i tedeschi di Deutsche Boerse e anche Six, l’operatore che gestisce la Borsa di Zurigo. La scadenza per presentare le offerte vincolanti è l’11 settembre. Quella che riguarda Piazza Affari è solo l’ultima tra le aggregazioni nel settore, una giostra mossa da motivi economici e geopolitici che negli ultimi 20 anni ha ridisegnato gli assetti mondiali della finanza.
Le cifre del business da sole non bastano a spiegare la gara. La Borsa di Londra che controlla Piazza Affari nell’ultimo esercizio ha segnato un robusto aumento dell’8% dei ricavi a 2,59 miliardi ma un calo del 2% dell’utile operativo non normalizzato a 737 milioni. I dividendi sono comunque aumentati del 16% a 78,4 centesimi per azione.
Il gruppo realizza solo meno di un quinto dei suoi ricavi dalla classica attività delle offerte pubbliche iniziali e del trading sulle azioni. Il vero core business, che genera il 40% degli incassi, sono i servizi informativi e di gestione degli indici, cresciuti del 7%. Un altro 39% dei ricavi proviene dai servizi post vendita e di gestione dei rischi. Gli analisti valutano Borsa Italiana fra 3,3 e 4,3 miliardi, più del doppio degli 1,6 spesi da Londra per acquistarla 13 anni fa. Piazza Affari realizza un margine operativo lordo del 60% dei ricavi, in linea con la media dei concorrenti, e ha previsioni di profitti in crescita.
Ma l’interesse per Borsa Italiana nasce soprattutto dal fatto che si tratta dell’unico listino europeo che controlla il mercato telematico Mts sul quale si scambia il debito pubblico nazionale, il terzo per dimensioni al mondo. Non a caso il 24 luglio 2019 a presiedere Mts è stata nominata Maria Cannata che, dal 2000 al 2018, è stata direttore generale del debito pubblico del ministero del Tesoro.
Per questo motivo il Governo ha dato il via libera a una partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti all’offerta della cordata Euronext ponendo però alcuni paletti sull’autonomia e la governance di Piazza Affari. Nel caso di acquisto dell’intero asset (Borsa e Mts) Cdp diverrebbe azionista di Euronext garantendo in mani italiane la presidenza della Borsa di Milano e alcuni seggi nel cda dell’operatore di Parigi.
La vendita di Borsa Italiana si inserisce nel periodo d’oro dei mercati finanziari, sganciati dal trend dell’economia reale a causa dell’inondazione di liquidità offerta dalle Banche centrali. Denaro finito a gonfiare quotazioni e scambi che hanno consentito alle società che gestiscono le Borse di realizzare ricavi in continua crescita e profitti molto elevati.
Nel mondo oggi esistono 250 Borse sulle quali, solo a livello azionario, sono quotate 53mila società con una capitalizzazione aggregata di circa 80mila miliardi. Il settore è molto concentrato: Intercontinental Exchange (Ice) è la maggior Borsa globale in termini di ricavi con il 14,6% del totale mondiale (4,37 miliardi), in crescita annua del 4,5%, seguita da Cme Group (4,12 miliardi di ricavi). A livello europeo Deutsche Boerse di Francoforte è stata la Borsa più attiva in Europa, con il 22,5% dei ricavi dell’area, seguita dal gruppo Lse della Borsa di Londra con il 16,5% dei ricavi europei.
I ricavi totali delle borse nel 2019 sono arrivati al record di 29,9 miliardi, in crescita del 16% rispetto al 2017. Il business consente di realizzare margini operativi medi ingenti, nell’ordine del 60% dei ricavi: il triplo di quelli delle migliori società di investimento. Dietro quest valanga di profitti c’è il boom della vendita dei dati finanziari raccolti dalle Borse e degli indici che ne sono tratti, che ha realizzato ricavi in aumento del 7,7% su base annua.
La quota crescente degli investimenti finanziari che si sposta verso gli strumenti collettivi di investimento passivi come gli Etf sancisce la fine del vecchio modello di business delle Borse: in passato i ricavi arrivavano da commissioni sulle transazioni, oggi vengono dalla creazione e vendita di indici alle società che gestiscono gli Etf e dalla vendita dei dati sul trading.
Ogni borsa ha il monopolio naturale delle informazioni sui dati dei titoli che quota, vero carburante per il trading ad alta frequenza, un mercato da miliardi di utili annui nel quale i computer compra-vendono automaticamente in continuazione titoli per sfruttare minime differenze di prezzo con operazioni che durano milionesimi o miliardesimi di secondo. Dati che le Borse vendono a prezzi sempre più alti: secondo alcune analisi il Nyse, la Borsa di New York, nell’ultimo decennio ha aumentato i ricavi dai dati di mercato da 10 a 30 volte anche grazie a continui rincari. Poiché ai risparmiatori le commissioni di compravendita costano ormai in media pochi centesimi ogni 100 euro investiti, questi rincari comprimono i margini delle società di trading.
Le fusioni e acquisizioni tra Borse sono così strumenti per realizzare non tanto economie di scala ma integrazioni tra diverse offerte di prodotto in termini di dati venduti al mercato. Negli ultimi vent’anni si è assistito a una continua girandola di acquisizioni e fusioni, proposte realizzate o naufragate, ma anche di separazioni e divorzi tra mercati. In Europa dalle integrazioni sono emersi tre campioni: il gruppo della Borsa di Londra, la tedesca Deutsche Boerse ed Euronext, che ha accorpato intorno alla Borsa francese i mercati di Amsterdam, Bruxelles, Lisbona e Dublino.
Ad aprile 2007 Euronext si fondeva con il Nyse, la Borsa di Wall Street. A ottobre 2007 la Borsa di Londra conquistava Borsa Italiana pagando 1,6 miliardi di euro. Altre operazioni però non sono andate a buon fine, come l’acquisizione del dicembre 2004 della Borsa di Londra da parte di Deutsche Boerse, rifiutata dagli inglesi che a dicembre 2005 respingevano anche un’offerta della banca d’affari australiana Macquarie e a febbraio 2007 un’altra proposta del Nasdaq. Nel 2011 l’integrazione tra la Borsa di Wall Street e Deutsche Boerse veniva bloccata dall’Antitrust Ue. Per restare solo a quest’anno Euronext, tornata single a giugno 2014, ha conquistato la Borsa di Oslo mentre gli svizzeri di Six a giugno hanno comprato la Borsa spagnola pagando 2,8 miliardi.
Proprio l’interesse delle autorità Antitrust segnala la rilevanza geopolitica di queste operazioni. Le autorizzazioni, concesse o negate, seguono la politica internazionale. Con la Brexit e l’ulteriore avvicinamento del Regno Unito agli Usa, Londra è diventata estranea rispetto al contesto Ue. Intanto sta scendendo in campo la Cina: a ottobre è saltato il tentativo della Borsa dell’ex colonia britannica di Hong Kong di comprare la Borsa di Londra. Non manca chi vede un possibile interesse cinese per Borsa Italiana, alla luce dei recenti accordi tra Roma e Pechino. Ma i dubbi sul sistema finanziario cinese e le crescenti tensioni tra Cina e Occidente, anche sul fronte finanziario, si sono rivelati sinora un ostacolo insormontabile all’internazionalizzazione delle Borse della Repubblica Popolare.