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 2020  settembre 07 Lunedì calendario

Storia di Sace

La Sace non trova pace. La società pubblica che garantisce i crediti all’export delle imprese (con la controgaranzia dello Stato) sta per tornare al Mef, dove è quasi sempre stata nel corso della sua lunga vita, dopo quella che ora possiamo ormai definire la “parentesi” Cassa depositi e prestiti, durata dal 2012 ad oggi. Sarà questa l’ultima giravolta per la Sace? È l’accasamento definitivo dopo la nascita negli anni Settanta, la burocratizzazione degli anni Ottanta, l’involuzione e gli scandali dei primi anni Novanta, la ristrutturazione e trasformazione in Spa tra il 1997 e il 2004, i successivi sogni (abortiti) di portarla in Borsa e farla diventare anche banca? Difficile rispondere, anche perché, mentre torna al Mef, la Sace è stata caricata di un nuovo compito: assicurare anche i finanziamenti alle imprese italiane non collegati all’export. Una nuova gamba, che modifica considerevolmente il perimetro d’azione della Sace. Senza considerare “Garanzia Italia”, ovvero la garanzia sui finanziamenti alle imprese danneggiate dal Covid, che però scadrà a fine anno. Non una, dunque, ma tante vite per la Sace. E, nel corso della sua storia, è stata un oggetto del desiderio per tanti, uno strumento di potere per alcuni, un importante veicolo per la politica economica per altri.
La storia
L’agenzia nasce nel lontano 1977 come costola speciale dell’Ina, la compagnia di Stato, da un accordo tra i Paesi Ocse. Ogni Stato avrebbe aiutato le proprie imprese a condizioni determinate. Gli strumenti per farlo erano due: da una parte la copertura assicurativa dei finanziamenti all’esportatore contro eventi politici o di controparte; dall’altro un “interest make up agreement”, ovvero un soggetto che assicura all’acquirente estero un tasso fisso assumendosi il rischio. La prima funzione fu data alla Sace, la seconda al Mediocredito Centrale.
Negli anni Ottanta la nave di Sace va, ma, un po’ come l’Italia di Craxi, si pongono le premesse per la disfatta. All’inizio dei Novanta, durante il periodo di Mani Pulite, scoppia il bubbone con indagini e arresti relativi a finanziamenti “facili”. Monta poi una rilevante perdita di bilancio. Nel 1991 arriva Mario Draghi, che, quale dg del Tesoro, presiede il Comitato di gestione Sace, di cui avvia la riforma verso un modello di ente pubblico economico che si realizzerà poi tra il 1998 e il 2001, durante la sua presidenza. In quest’ultimo periodo ci fu un travaso di manager dal Mediocredito Centrale, che era stato privatizzato e ceduto alla Banca di Roma. Di questo management molto professionalizzato faceva parte anche Alessandro Castellano, nominato prima dg, nel 2004, e dopo la trasformazione in Spa, ad. Comincia la sua lunga stagione, che copre oltre dodici anni, dal 2004 al 2016, quando andò via, sostituito da Alessandro Decio.

Nuova organizzazione
Castellano dapprima ripulisce il portafoglio e poi riprogetta l’organizzazione: i singoli rischi adesso li prende in carico direttamente la Sace, mentre lo Stato interviene solo in caso (improbabile) di fallimento della stessa o se si superano certi livelli di concentrazione del rischio. La nuova Sace di Castellano diventa redditizia (nel 2016 arriva a produrre utili per 600 milioni), e se oggi viene valutata dal Tesoro fino a 4,5 miliardi è anche merito suo. Nel 2012 la Sace viene venduta dal Mef alla Cdp per fare cassa e ridurre il debito pubblico. Ma il mandato del governo Letta era di privatizzare la Sace. Passato Letta, però, il presidente Franco Bassanini e l’ad Giovanni Gorno Tempini non vanno avanti. Inizia un periodo conflittuale tra i vertici della Cassa e Castellano. Questo sembra protetto dall’alto, dall’allora premier Matteo Renzi che fa passare una norma che consentirebbe di trasformare la Sace in banca non retail, secondo il modello di molti Paesi. Ma Cdp ottiene la “direzione coordinamento”, che la trasformerebbe la stessa Cassa in una banca nel caso che la controllata Sace diventasse istituto di credito, e questo richiederebbe nuovi e più elevati ratios patrimoniali. Quindi tutto si blocca. A questo punto la posizione di Castellano si fa più debole. La lotta tra lui e Cdp, in cui sono arrivati nel 2015 Claudio Costamagna e Fabio Gallia, volge a favore di quest’ultima che si accredita quale “one door” per tutte le imprese che vogliono esportare o crescere all’estero: come Cassa finanzia gli acquirenti esteri, come Sace assicura i crediti delle imprese che esportano e come Simest offre finanziamenti e equity per le Pmi.

Rischi sbilanciati
Sembra tutto a posto, ma ciò che accade tra il 2016 e il 2020 ridà fiato a quanti, nel Mef, a cominciare dal suo dg, Alessandro Rivera, non hanno mai digerito che la Sace fosse sotto Cdp. Negli ultimi anni, infatti, il rischio si concentra su poche imprese e settori: cantieristico (41,4% del totale), oil & gas (20,21%), chimico e petrolchimico (9,2%). Campioni della concentrazione sono Fincantieri (al primo posto), Eni, Saipem, Leonardo, ovvero imprese controllate da Cdp, che si trova così in conflitto d’interessi. Inoltre una concentrazione così elevata, incompatibile con i principi assicurativi, costringe Sace a riversare gran parte del rischio sul Mef. Quest’ultimo ha solo fatto due più due: visto che io ormai assicuro la maggior parte dei crediti perché devi essere tu Cassa e non io a detenere quest’agenzia? E così Sace rientra al Mef dopo otto anni di esilio. Sarà per l’ultima volta? O prima o poi rinascerà l’idea di privatizzarla?