Affari&Finanza, 7 settembre 2020
Apple condannata a crescere per sempre
Un’azienda regna suprema sul capitalismo mondiale: Apple. Il gigante Usa ha inventato prodotti che hanno trasformato la vita di centinaia di milioni di persone e, allo stesso tempo, creato un impero industriale, tecnologico e finanziario senza pari. Poco prima di Ferragosto, Apple è stata la prima società al mondo a superare 2 trilioni di capitalizzazione di mercato, due anni dopo aver passato il record di 1 trilione. Sembrano numeri da Monopoli, ma sottolineano il vasto potere dell’azienda di Cupertino sull’economia del pianeta. Con un fatturato annuale di 260 miliardi, più di un miliardo di utenti e un rapporto prezzo-utili di più di 30 per le azioni, Apple è venerata da consumatori, investitori e Silicon Valley. Continuerà a crescere a questi ritmi? O siamo all’apice della sua scalata come paventato dal calo delle quotazioni di Apple (e del resto di Big Tech) giovedì scorso? E che effetti avranno le azioni di regolatori europei e (forse) americani sul suo futuro?
Sono domande da 2 trilioni e per rispondere bisogna analizzare il successo atipico di una società atipica. A differenza di rivali quali Facebook o Google, l’ascesa di Apple non è stata fulminea, ma frutto di tragedie, errori strategici e un fatidico incontro ravvicinato con la bancarotta.
La storia
Partiamo da lì, dal luglio 1997 quando, dopo dodici anni di perdite, Apple finalmente rimise al timone Steve Jobs. Il primo compito del carismatico fondatore fu trovare soldi per evitare il collasso. Ad aiutarlo fu un samaritano inaspettato: Microsoft, che, preoccupata di essere vista come un tirannico monopolio, investì 150 milioni di dollari per tenere in vita una rivale. Per Apple, l’episodio non è una postilla storica ma uno dei pilastri di ciò che avvene dopo: un’esperienza così traumatica che spinse Jobs e i suoi a un perfezionismo ossessivo.
I risultati si vedono ancora oggi. Più di ogni altra società al mondo, Apple è guidata dal principio della soddisfazione dell’utente. Chi ad Apple ha lavorato ne parla come di un comandamento sacrosanto, instillato da Jobs in tutti gli aspetti della multinazionale. Ascoltiamo Tim Cook, che ha preso il posto di Jobs dopo la sua tragica scomparsa nel 2011. A fine giugno, l’amministratore delegato ha detto al simposio annuale dei developers che i prodotti Apple sono “innovazioni che arricchiscono le vite delle persone e le aiutano a imparare, creare, lavorare, giocare, condividere e rimanere in buona salute”.
Di solito, i titani di Silicon Valley equiparano l’innovazione con la velocità: essere i primi a inventare un prodotto. Non Cook (e non Jobs): la ricerca di Apple funziona solo se “arricchisce” la vita degli utenti. In questo processo di continuo miglioramento, ad arricchirsi sono stati anche molti altri. Gli azionisti in primis – il titolo è praticamente raddoppiato da marzo, nonostante l’epidemia. L’altra grande beneficiaria è la stessa Apple. Più cresce e più gli utenti rimangono all’interno del suo ecosistema, comprando ancora più prodotti e servizi.
Gli “indossabili"
Le mosse recenti di Cook sono tutte mirate a sfruttare la fedeltà assoluta dei consumatori. Dopo aver per anni puntato solo sull’ iPhone, Apple ha deciso di re-inventare e spingere tutti i suoi prodotti – dal telefonino all’iPad ai computer Mac. È una strategia sia offensiva che difensiva: più di un miliardo di persone ha un iPhone ma la metà di loro ha solo l’ iPhone. Se il mercato dei telefoni si restringe, quello per gli altri prodotti è apertissimo. È per questo che Cook ha investito in una nuova gamma di prodotti: gli “indossabili”. Per ora si tratta di orologi e auricolari, in cui Apple ha già il 40% del mercato mondiale, ma è solo l’inizio. Gli esperti parlano di un futuro con gioielli, occhiali e vestiti ad alta tecnologia.
L’altro motivo di ottimismo per Apple è l’entrata alla grande nei servizi. La società era da anni nel settore della musica (con iTunes) ma gli investimenti nel video-streaming (AppleTv) presagiscono altri modi di convincere chi è nel suo ecosistema a spendere più soldi. Apple già ha 518 milioni di “abbonati”, un aumento di 126 milioni in un solo anno, e le entrate dei servizi sono triplicate negli ultimi sei anni. Ed è qui che cominciano i problemi per Cook e i suoi. Se il dominio dell’hardware (l’iPhone e i suoi fratelli) e del software (il sistema operativo iOS) diventa strumento per vendere più servizi, le autorità Antitrust si preoccupano.
L’Ue ha aperto già due inchieste – una sul 30% di commissioni che la società si prende per ogni pagamento sull’Apple Store – e un’altra sul fatto che Apple Pay non permette ad altri sistemi di pagamento di utilizzare il “batti e vai” nei negozi. Apple risponde che in qualsiasi settore (persino nei cellulari) ha una piccolissima quota di mercato, ma le Autorità della concorrenza ribattono che, per i consumatori e developers “prigionieri” del sistema iOS, Apple ha il 100% del mercato.
Prigionieri dell’ecosistema?
In realtà nessuno è “prigioniero” dell’ecosistema Apple. Anzi, nel caso dei consumatori, siamo tutti disposti a pagare di più per Apple che per i suoi rivali. Il caso dei developers è un po’ diverso ma la giurisprudenza è chiara: Apple ha il diritto di prendersi la commissione che vuole nell’Apple Store (È il motivo per cui l’attacco legale di Epic, la società che produce il famoso gioco Fortnite, fallirà, a mio avviso).
Ma per gli investitori ciò non è abbastanza. Apple è vittima del proprio successo, condannata a crescere nonostante sia già enorme. Per fare ciò, Cook deve contare su tre motori al massimo: i prodotti doc devono continuare a vendere, anche se a ritmi meno elevati che nel passato; gli “indossabili” devono fare un salto di qualità; e i servizi devono diventare la nuova fonte di crescita smisurata. Come ha scritto Benedict Evans, uno degli analisti tech più acuti, Apple non è più il pirata della tecnologia, è la Marina. E navigare le acque di Silicon Valley e Wall Street è molto più difficile quando si è una corazzata.