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 2020  settembre 07 Lunedì calendario

Intervista a Walter Sabatini

Il mondo alle spalle. Nell’ufficio monacale di Walter Sabatini, coordinatore dell’area tecnica di Bologna e Montreal Impact, il globo è spalmato a tutta parete dietro la scrivania. Il telefono squilla in continuazione. Chiama Mihajlovic: «Sinisa, darò la vita per prenderti quel giocatore», «Mi si spezza il fegato a prestare quel ragazzo, ma ne abbiamo troppi in quel ruolo», «Lèvati ‘sto virus con la forza del pensiero, ti aspetto in sede 24 ore al giorno».
Che senso ha giocare senza pubblico?
«Zero. È subbuteo. Calcioballilla. Una tristezza infinita. Ho sempre lavorato per la gioia della gente, quando ho provocato dolore o mortificazione sono stato male. Senza il godimento del pubblico, è solo una perversione. Ovviamente, si deve».
Ma è calcio vero? In che percentuale?
«Minima. È un altro sport. I giocatori hanno meno stimoli, i tempi di reazione sono diversi. Manca anche quell’oooh del pubblico che ti avverte quando sta arrivando un avversario a fregarti il pallone».
E senza soldi che mercato è?
«Depresso. Si fanno solo scambi per le plusvalenze. Qualche grande operazione ci sarà, Milik, Dzeko o Suarez, ma la fascia intermedia non esiste. Due colpi straordinari li ho visti: McKennie alla Juventus e Miranchuk all’Atalanta».
Non avesse limiti di budget, per chi farebbe una pazzia?
«Agüero. Se sta bene, fa la differenza ovunque».
Lei ha detto che si è pentito di aver lasciato l’Inter.
«Amaramente. Non perché non stia benissimo al Bologna, che ho l’ossessione di far tornare grande, ma perché là non ho espresso nulla. Dovevo aspettare, ho avuto fretta. Avevo pensato a un network internazionale che con un mercato parallelo potesse sostenere quello dell’Inter. Poi il premier cinese ha declassato il calcio e ho perso fervore. Ci ho rimesso la salute ad andare una settimana al mese in Cina, con quelle soste di sette ore all’aeroporto di Hong Kong a fumare in uno scantinato a -10 gradi».
Le avrà fatto piacere però che l’abbia richiamata la Roma.
«Non l’ha fatto, ma mi ha fatto piacere la reazione dei romanisti a quell’ipotesi».
Totti a Repubblica ha detto: aspetto Friedkin per un caffè. Una Roma senza di lui è possibile?
«Dipende da quanta voglia di lavorare ha Totti».
Argomento scivoloso.
«Una palude. Come comparsa Totti non ha senso. O ha un incarico importante e ci si mette con lena oppure meglio che continui a fare quel che fa».
È della stessa linea di Franco Baldini: troppi romani nella Roma.
«No perché le linee di Baldini non sono mai state propriamente euclidee».
È più difficile azzeccare un allenatore o un giocatore?
«Un allenatore. Sono stato fortunato: Garcia lo presi a moscacieca, dal Lille. Mi pigliavano tutti in giro: ha fatto 85 punti e il record di vittorie».
Hanno troppo potere i tecnici?
«No, ne hanno bisogno. Sono soli contro tutti, è il mestiere più difficile del mondo. Quelli che hanno troppo potere sono quelli sbagliati. Quelli bravi non attaccano mai la società. Mihajlovic sembra che sia uno così, ma poi si ferma a parlare e alla fine arriva a conclusioni virtuose. Gli allenatori sono imprevedibili e ognuno crea problemi. Prenda la follia ondivaga di Spalletti. Ma è un genio, non dimentico che ha riportato l’Inter in Champions dopo dieci anni e ora è indebitamente fermo. Prenda Gasperini: è un fenomeno, ma ha dovuto sacrificare anche giocatori importanti per il suo club. Un dazio lo si paga sempre all’allenatore, con alcuni è insopportabile. Dico in generale: non con Gasp, ovviamente. Scherzo sempre con Percassi: l’Atalanta mi sta simpaticamente sulle scatole, perché fa sempre le cose giuste e i risultati».
Che calcio è quello che esautora gli ultimi due allenatori ad aver vinto lo scudetto?
«Un calcio nevrotico e insicuro».
Non trova che siamo in una fase di tatticismo esasperato: tiki-taka nella propria area, portieri playmaker, marcature preventive a tutto campo…
«Nel calcio si impone sempre l’ultimo meccanismo che ha vinto e si esagera. Il barcelonismo però non vince più ed è al tramonto. Ogni tanto vien voglia di vedere una pallonata lunga. Torneremo presto alle verticalizzazioni precoci alla Eriksson o Zeman. I giocatori come Paredes del Psg in questo sono preziosi».
Uno dei 7 ex Serie A in campo all’ultima finale di Champions League: che significa?
«Che siamo un calcio migratorio. I soldi sono altrove, duole dirlo, e noi rimaniamo a un livello più basso. Poi significa anche che abbiamo poca pazienza. Un giovane lo bruciamo al primo passaggio sbagliato. Il problema dei giovani non è se son troppo giovani, ma se son scarsi».
Il calcio italiano spende il 7% del fatturato per le commissioni ai procuratori: 775 milioni in cinque anni. Colpa di voi direttori sportivi?
«Colpa dei presidenti che pensano di fare calcio direttamente con gli agenti, pur bravi ma sempre venditori, depotenziando i direttori sportivi».
Che effetto fa vedere il Bologna sempre lontano dalle copertine?
«È quel che dico ai giocatori: non vi vergognate di essere sempre a pagina 12? Se i nostri giovani fanno il salto di qualità, il Bologna torna a pagina 2. C’è un piano dentro di me e ho grandissime speranze».