La Gazzetta dello Sport, 7 settembre 2020
Il primo gol di Daniel Maldini
Bastano due colori, il rosso e il nero, e un cognome, Maldini, e la storia infinita si rinnova. Un circolo virtuoso iniziato negli Anni 50 e affacciatosi nell’era dei social con una continuità talmente naturale da sembrare quasi scontata, ma attenzione: di scontato in questo romanzo non c’è nulla. L’unica certezza è che la dinastia dei Maldini ha legato indissolubilmente il suo nome al Milan: Cesare e Paolo hanno scritto la storia del Diavolo, sollevando entrambi la Coppa dei Campioni, la prima e l’ultima della bacheca del club (caso unico nella storia della competizione); Daniel ha rimesso la maglia del nonno e del papà e l’altra sera contro il Monza in amichevole ha segnato il suo primo gol a San Siro. Nuovo capitolo, nuove emozioni.
Eleganza e marcature
Le prime le ha regalate Cesare, triestino cresciuto con Nereo Rocco, che nel 1954, a ventidue anni, sbarca a Milano per 58 milioni di lire, una cifra da capogiro, specialmente per un difensore. Nel Milan di Guttmann, e poi in quello del Paròn, Maldini fa di tutto – terzino destro, stopper, libero – e lo fa sempre con un’eleganza rara a quei tempi: quando si fida troppo del suo piede gentile e commette qualche errore i cronisti del tempo parlano di “maldinate”, ma Cesare sa come farsi perdonare. Soprattutto, sa guidare la difesa come pochi: nella finale di Wembley vinta col Benfica, Rocco lascia che sia lui a invertire le marcature per fermare Eusebio e l’intuizione è un successo. Cesare fa il difensore ma legge il calcio come pochi, non a caso diventerà allenatore. Anche di Paolo: con gli azzurri Under 21, in Nazionale e al Milan, tra il 1988 e il 2001.
Il testimone
In quegli anni, il passaggio del testimone da una generazione all’altra si è già materializzato, perché Paolo, il quartogenito della famiglia-tribù che Cesare ha messo su con la signora Marisa, è già un pilastro del Milan. Da bambino ha il poster di Bettega in camera ma si dedica ai colori di famiglia quando arriva il momento di cominciare a giocare: «Papà, vorrei provare con il Milan». È il ’78, e sette anni dopo Maldini II debutterà a Udine, a 16 anni. In famiglia si bruciano le tappe e si accumulano trofei: Paolo, destro naturale che gioca da terzino sinistro nel Milan di Sacchi e Capello (ed educa l’altro piede fino a usarlo come e meglio del principale) vince tutto, dalle Coppe Campioni e le Intercontinentali agli scudetti. Negli Anni 2000 si sposta al centro, e padroneggia anche lì: eredita la fascia da capitano da Baresi e con il simbolo del leader al braccio – come il padre − solleva la Champions del 2003 e quella del 2007.
Variazione sul tema
Due anni dopo, Pep Guardiola gli dedicherà quella vinta con il Barça a Roma: Maldini si è appena ritirato e i grandi del calcio gli rendono omaggio. Il bello di questa storia, però, è che dopo un Maldini ne arriva sempre un altro, e con Daniel ci si è spostati di parecchie decine di metri più avanti. Le movenze seducono come quelle del nonno e del padre, ma Daniel le usa per saltare gli avversari, inventare per i compagni, andare in porta come è successo contro il Monza: lui fa il trequartista, può giocare anche da seconda punta. Nelle giovanili portava il 10, in prima squadra ha vestito il 98 e adesso il 27: nessun punto di riferimento, come si addice a chi si muove tra le linee. Pioli lo ha buttato nella mischia per la prima volta a febbraio 2020 con il Verona, 3.899 giorni dopo l’ultima partita disputata in A da Paolo. Poi un’altra presenza, nell’ultima giornata con il Cagliari, fino al destro che ha bucato il Monza sabato: un Maldini è tornato a segnare a San Siro 12 anni, 5 mesi e 6 giorni dopo l’ultimo gol di Paolo, nel marzo del 2008 contro l’Atalanta. Dalla mamma Adriana all’amico Soncin (portiere rossonero in prestito alla Pergolettese) fino a Leao, sui social è stata una pioggia di complimenti. «È stato bellissimo giocare e segnare a San Siro, anche senza tifosi – ha detto Daniel, 19 anni il prossimo 11 ottobre −. Noi del settore giovanile cerchiamo di dimostrare quanto valiamo anche in prima squadra, diamo sempre il massimo in campo».
Ritorno al futuro
Pioli ne terrà conto: come ha spiegato alla fine del test con i brianzoli (in cui oltre a Daniel sono andati a segno anche Kalulu e Colombo, altri due rossoneri nati negli Anni 2000), chi gli darà garanzie si giocherà un posto. E nel 4-2-3-1 rossonero i fantasisti sono sempre i benvenuti. «Daniel ha già giocato due partite in Serie A, l’emozione è andata – ha spiegato Paolo Maldini −. Ora sta a lui consolidare la sua posizione all’interno della prima squadra e provare a trovare spazio». L’ex capitano parlava da padre, certo, ma anche e soprattutto da dirigente: le strade professionali della dinastia si incrociano, ancora una volta. Mentre un giovane Maldini sboccia, papà lo osserva da vicino. Consigliandolo, guidandolo, ma senza mai forzare, anche perché è ancora troppo presto e Daniel ha tutto il diritto di crescere con calma. Portare con disinvoltura quel cognome non si può insegnare, o ce l’hai nel sangue o non ce l’hai. Per fortuna del Milan, Daniel sembra proprio a suo agio.