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 2020  settembre 05 Sabato calendario

Su "Croce del Sud. Tre vite vere e improbabili" di Claudio Magris (Mondadori)

La patria, scrive Claudio Magris, è il luogo in cui una persona si sente a casa nella vita e «i cui colori, paesaggi, venti sono la familiare musica della sua esistenza... è il luogo in cui vivono i suoi figli o quella in cui sono sepolti i suoi genitori». Si può essere in patria nella Mitteleuropa, in Monferrato, in Francia e contemporaneamente in Sudamerica, come le tre figure, realmente esistite, che lo scrittore triestino rievoca in questo nuovo libro, Croce del Sud. Tre vite vere e improbabili, in uscita dopodomani — martedì 8 settembre — da Mondadori (pagine 132, euro 15: l’autore lo presenta al Festivaletteratura di Mantova venerdì 11 settembre collegato in streaming in piazza Castello alle 17 con Alberto Rollo che invece sarà in presenza, ingresso euro 5, qui un estratto in anteprima).


Tra la metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, un etnologo sloveno, un avvocato francese, una suora italiana si trovano ai confini del mondo, lontanissimi da casa, eppure sembrano appartenere totalmente a quella terra straniera. Il libro declina alcuni dei temi che l’autore e germanista, in modo più o meno esplicito, insegue da sempre nella sua scrittura, sia saggistica che narrativa: il viaggio, l’impulso a partire, le radici di un’identità che è sempre multipla. Curiosità ed erudizione si mescolano nel racconto di queste tre storie tra Patagonia e Araucania, nel sud dell’Argentina e del Cile, terra in cui all’inizio del Novecento arrivano dall’Europa spregiudicati uomini d’affari abili ad arricchirsi, ma anche operai e poveri diavoli.


L’innesco è in un territorio narrativo che apparenta il libro di Magris a quelli dell’amico Octavio Prenz, poeta e scrittore nato in Argentina da famiglia istriana e di lingua croata, morto a Trieste lo scorso anno. Magris parte sempre da piccole vicende, stravaganti personaggi dimenticati, eventi sottovalutati che cuce nelle pieghe della grande storia con punti quasi invisibili.


Dietro la singolarità di vite reali che sembrano inventate, il paziente lavoro di scavo di chi ha consultato testi, frequentato archivi e centri di ricerca tiene legata la narrazione alla verità storica, lasciando passeggiare la scrittura tra suggestioni di ogni genere.


«Croce del sud» nasce dal fortuito incontro con la storia di Janez Benigal, sloveno nato a Zagabria, ovvero austro-slavo, che il 1° ottobre 1908 sbarca a Buenos Aires dalla nave «Oceania» partita da Trieste. L’anno prima è arrivato Dino Campana: «naufrago cuore», in fuga dal manicomio di Imola, si perde nella Pampa dove la «piatta vastità in cui non ci può orientare — scrive Magris — è il vuoto della vita stessa». Un anno dopo arriverà Enrico Mreule, grecista e filosofo, protagonista di Un altro mare, che ha lasciato l’absburgica Gorizia per andare a fare il gaucho in Patagonia, sparendo nell’anonimato.


Il visto di ingresso di Benigar lo definisceobrero, operaio, di religione cattolica e scapolo. In realtà è un «quasi ingegnere», studioso di linguistica, antropologo, autore di una grammatica bulgara. Quanto alla fede, si dichiarerà sempre «non cristiano» e si professerà invece teosofo. Scapolo rimarrà per poco, perché avrà due mogli: Sheypukíñ, nobile india discendente da una famiglia di capi mapuce, ovvero araucani, che gli darà dodici figli. Alla sua morte sposerà Rosario Peña, anche lei india, da cui avrà altri quattro eredi. Anche lei morirà prima di lui e Benigar nel testamento lascerà scritto di voler essere sepolto accanto a entrambe («Immaginava anzi che sarebbe stato bello vivere tutti e tre insieme, “se le leggi umane e divine l’avessero consentito”»).



Avverso ai formicai della metropoli moderna, così come alla solitudine del gaucho, Benigar scrive delle ingiustizie subite dagli indios, denuncia la violenza capitalista, ma crede nell’ordine e nelle rivoluzioni dei piccoli passi. Da buon austro-ungarico un po’ pedante si imbarca in una polemica a distanza con il professore José Imbelloni di origini italiane, per due tesi diverse sulle origini dell’hombre americano, in uno di quei duelli, osserva l’autore, «che si incontrano nei racconti di Borges».


Quello di Magris, d’altro canto, è anche un viaggio letterario. Segue i richiami di autori diversi che di terre finali, di esplorazione, di confini e di limiti (anche esistenziali) hanno scritto. Bruce Chatwin e Francisco Coloane naturalmente, ma anche Jules Verne, H. P. Lovecraft e Daniele Del Giudice. Il suo Orizzonte mobile, «capolavoro estremo», è una suggestione che accompagna il racconto del viaggio di Suor Angela Vallese che gli Ona e gli Alakalufes — gli indios di mare delle Terra del Fuoco — scambiano, lei e le altre due sorelle con il loro abito monacale bianco e nero, per pinguini.


Angela arriva in Patagonia il 20 gennaio 1880 da Lu Monferrato, suora di strada in quell’epoca e in quelle terre violente e spietate che impara ad amare, guidata non da curiositas, «eccitata brama di conoscenza solo per amore di conoscenza», ma semmai da studiositas, conoscenza pervasa da amore. Guarda agli indios, alle bambine di cui si occupa, stando attenta, scrive Magris, alla «parità dei diritti delle persone e insieme alla loro peculiarità irripetibile, alla loro identità intesa come valore».


Magris raccoglie, collega attraverso possibili relazioni, vicende indipendenti l’una dall’altra, ambientate in punti diversi del Sudamerica e accomunate dalla acquisizione di una nuova appartenenza. Tra Benigar e Suor Angela si incastona la storia del folle procuratore legale francese Orélie-Antoine de Tounens che il 17 novembre 1860 si proclama re dell’inesistente Regno di Araucania (la terra dei Mapuche) e Patagonia.


Lontano dalla leggerezza degli avventurieri settecenteschi, Orélie — al quale si riferisce il brano del volume che anticipiamo qui sotto — è un personaggio «teatrale e caricaturale, incline al pathos e ai grandi gesti, sul confine tra il dramma e l’operetta». In una grande pianura delle Ande incontra il capo degli Araucani, Quilapàn, giura di unire tutte le forze delle diverse comunità, di procurarsi armi moderne per combattere e difenderli. Redige una costituzione, apre ambasciate del Regno in altri Paesi, viene fatto prigioniero dai cileni e chiuso in manicomio. Tornerà in Francia, dove organizzerà un’altra, disperata spedizione nel suo regno lontano, ma morirà in miseria a Tourtoirac, nel Perigord, nella casa di un cugino macellaio. Il suo regno è il suo ultimo pensiero: prima di spirare riuscirà a nominare il suo successore.