La Lettura, 6 settembre 2020
Sul nuovo libro di Ken Follett
Ricordate quel tramonto surreale eppure magico di fine marzo, quando Papa Francesco affrontò da solo il vuoto e la paura del mondo schiacciato dalle «fitte tenebre» della pandemia? E il suo invito accorato ad aggrapparsi alla forza dei fondamentali principi di solidarietà, corresponsabilità, rispetto, uguaglianza, alle colonne portanti della convivenza sociale faticosamente costruite nei secoli dall’umanità e solide come quelle che circondavano il Pontefice in quella piazza San Pietro deserta?
Ebbene, se ricordate le sue parole che evocavano sì la fede ma soprattutto una visione di speranza per il presente e il futuro, immaginate di tornare indietro nel tempo di mille anni e alle origini di quelle «fitte tenebre». Per la precisione al 17 giugno 997 dopo Cristo, nell’Inghilterra sudoccidentale della pioggia, del fango, della schiavitù, della fame, del sangue, del potere, della corruzione e vi ritroverete a vivere gli sgoccioli della cupa notte senza regole dell’alto Medioevo e la vigilia della nuova era che avrebbe visto crescere pietra su pietra, come pilastri di una cattedrale, il moderno Stato di diritto.
Dopo trent’anni e più di trenta milioni di copie vendute de I pilastri della Terra, Ken Follett ritorna nell’immaginaria Kingsbridge, alle radici di quella narrazione epica e della sua stessa fama con Fu sera e fu mattina (Mondadori), prequel di ottocento pagine che uscirà in contemporanea in tutto il mondo il 15 settembre. Il titolo è biblico: «Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre – così è scritto nel primo libro della Genesi — e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina».
Appunto. E nella sua essenza fatta di scelte da compiere, ostacoli da superare e ricompense da conquistare è biblica in qualche modo anche la trama del romanzo a cui lo scrittore inglese, protestante di nascita e laburista da sempre, ha lavorato dal 2017. Cucendo, scucendo e ricucendo dieci anni bui della storia d’Inghilterra (997-1007), assistito da una squadra di medievisti e dal solito Dan Starer, il suo ricercatore preferito (ma non solo il suo) che da uno studio di Central Park West a New York lo rifornisce di dettagli preziosi e raffinate suggestioni fin dal tempo dei Pilastri.
Edgar è un giovane, geniale maestro d’ascia. Vive con genitori e fratelli a Combe, piccola città nell’Inghilterra rozza e violenta di fine primo millennio. Ragna è una contessina normanna colta, appassionata e impulsiva. Li separa la Manica, ma li uniranno la minaccia vichinga e le alleanze politiche per tentare di disinnescarla.
Già, perché in una sola notte all’inizio della storia tutti i progetti di vita di Edgar vengono spazzati via da una delle frequenti incursioni del popolo guerriero dei fiordi che razzia e distrugge, uccidendo suo padre e la donna che ama. La donna con la quale aveva deciso di fuggire. Così, mentre Edgar è costretto a rifarsi un’esistenza come coltivatore d’avena in uno sputo di villaggio chiamato Dreng’s Ferry (la futura Kingsbridge), il vescovo che ha la giurisdizione su quelle terre tenta una mossa per impedire altri attacchi.
Si chiama Wynstan ed è un uomo marcio dentro, ambiziosissimo e capace di ogni nefandezza pur di accrescere potere e ricchezza. Punta all’arcivescovado di Canterbury e intanto frequenta di nascosto i bordelli, stupra, ricatta. E lo farà anche con Ragna che, per amore di suo fratello Wylwulf, spedito a trattare un accordo di pace con i normanni, lascerà la famiglia e il continente per trasferirsi nella cupa Inghilterra.
È l’epoca del priorato di monaci come Aldred, lettore raffinato e visionario che gira le abbazie al di qua e al di là della Manica alla ricerca di testi che vorrebbe raccogliere in una cattedrale che non esiste ma lui immagina nella sua caparbia volontà di erigere per il Signore un tempio di fede, preghiera e cultura. Ragna lo troverà bellissimo come «un’antica scultura romana di marmo che aveva visto a Rouen, la testa di un uomo con i capelli corti e ricci macchiata dal tempo e priva della punta del naso, ma chiaramente parte di quella che un tempo doveva essere stata la statua di un dio». Bellissimo ma tormentato da una pulsione omosessuale che soltanto le regole religiose gli impediscono di assecondare.
La sua è l’altra faccia della Chiesa del millennio, una Chiesa etica e devota che, al contrario di come Wynstan cerca di piegarla al proprio tornaconto, è al servizio degli umili. E in questo, Aldred ed Edgar si riconosceranno fino a unire i rispettivi sforzi per innalzare nel fango di Dreng’s Ferry, poi Kingsbridge, quella cattedrale. Pilastro di un mondo nel quale tutti abbiano identico diritto di cittadinanza e d’ascolto. Un nuovo mondo dove la giustizia venga amministrata senza tenere conto della classe di provenienza ma soltanto delle regole.
Ma scalzare le secolari incrostazioni del potere dalle mani dei nobili non è facile né indolore. Ovvio. Soprattutto se a governare l’Inghilterra di quel tempo è un monarca – Etelredo II – che non ha mai il coraggio di mettersi contro la casta dei propri simili, nemmeno di fronte all’evidenza dei feroci reati che commettono (come è abituato a fare Wynstan con schiave e prostitute). Un re «malconsigliato» (unready, fu definito), che gli storici ci hanno consegnato come incapace di proteggere il suo territorio dagli assalti vichinghi, vile e persino cattivo. Che però Follett in qualche modo assolve dalle peggiori accuse, abbandonandolo soltanto alla messa in scena della sua abituale codardia, di tanto in tanto corretta dal senno di una giovanissima moglie normanna, buona amica di Ragna (Emma, splendida donna, per due volte regina consorte d’Inghilterra, dopo Etelredo al fianco di Canuto il Grande, madre di ben quattro re e prozia di Guglielmo il Conquistatore).
A lui, al re vigliacco, spetterà la scelta del nuovo arcivescovo di Canterbury, la più alta carica religiosa dell’Inghilterra centromeridionale. E pur di ottenere quella nomina, Wynstan sarà disposto a tutto.
Tuttavia, ed è ciò che accade in ogni romanzo epico degno di questo nome, i giochi della politica sono strettamente intrecciati a quelli dell’amore. E nel prequel de I pilastri della Terra il sentimento che si incarna in Edgar e Ragna non è solo motore di conflitti e di morte. A legarli in un’irresistibile attrazione e nell’attesa uno dell’altra, oltre alla passione c’è il senso condiviso del primato dell’etica e della ricerca di una giustizia non solo divina ma terrena, e più equa. Il desiderio di uscire dalle tenebre degli abusi, delle prepotenze, dei soprusi, per entrare in un nuovo mondo. «Quello è un momento in cui le persone hanno cominciato a chiedere quello che chiamiamo lo Stato di diritto», ha detto Follett chiarendo il centro intorno al quale ruota tutta la storia. «Il che significa che le controversie sono risolte secondo le regole, indipendentemente da quanto uno sia ricco o potente. E questa è una componente vitale della libertà».
Esattamente ciò che Wynstan il vescovo cercherà di impedire a ogni costo e fino all’ultima delle ottocento pagine di Fu sera e fu mattina, con la ferocia che appartiene al Dna del potere più conservatore e corrotto. Quello con il quale, anche all’interno della Chiesa, sta facendo i conti Papa Francesco. Tanto per... E chissà se a Follett il discorso del Pontefice sulle fitte tenebre avrà ricordato quel fumo nero in cui il mondo era avvolto prima di scavallare l’anno Mille, per come lo racconta nel suo romanzo.
Ateo ma in discussione con sé stesso, così più o meno si definisce, una decina di anni fa lo scrittore inglese aveva firmato una lettera di molti intellettuali pubblicata dal «Guardian» contro la visita di papa Ratzinger in Gran Bretagna. Ma adesso pare che quell’ostilità verso la Chiesa si sia mitigata, sciogliendosi in un rapporto più intimo e personale con i luoghi della religione (le cattedrali, pilastri della Terra, perché visitarle «fa bene all’anima») oltre che con la Bibbia.
Resta il fatto che al di là della doppia lettura sentimentale e politica del suo prequel, la storia di Edgar e Ragna sia intrisa di una speranza molto prossima alla fede. Una fede eccentrica, che però guarda con entusiasmo alla luce di un nuovo giorno. Perché prima fu sera, ma poi fu mattina.