il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2020
Biografia di Angela Finocchiaro raccontata da lei stessa
Dopo rinvii e contrattempi, la confessione arriva prima del buongiorno. “Navigo sistematicamente nella categoria degli orsi”. Cioè? “Con le interviste vado in ansia (Silenzio). Oddio, non solo con le interviste, anche in altre occasioni. Comunque vado in ansia”.
Angela Finocchiaro è un essere umano senza le comuni armi della vita: non blandisce né aggredisce, non alza mai la voce, non si offende, relativizza il più possibile guai e gloria, e il più possibile cerca il cono visivo di chi ha di fronte; dosa l’autoironia prima di diventare macchietta e utilizza ogni sfaccettatura della quotidianità per capire la parte più remota di se stessa. Il divismo non abita in lei: “Mi scambiano pure per Maria Amelia Monti…”.
Non vi assomigliate molto.
È capitato con alcuni tassisti, e dopo i complimenti generali, mi chiedono di salutargli Gerry Scotti (protagonista di una sit-com con la Monti, ndr). Io ringrazio.
Anche il suo cognome può indurre in errore.
Sa quante volte mi hanno chiamato Anna? (come la senatrice del Pd, ndr)
Tante?
A un certo punto una rivista decise di scattarci delle foto insieme, un intero servizio dedicato, poi alla fine non è uscito e non ne so il motivo. Si saranno resi conto che non era un granché, di aver sbagliato.
Però lei ha vinto due David di Donatello…
E consecutivi! La seconda volta non mi ricordavo della candidatura, così quando ho sentito chiamare il mio nome, sul viso mi è comparsa un’espressione assurda, immortalata dalle telecamere: sembravo una scolaretta convocata alla cattedra dalla professoressa. Non ci credevo.
Proprio niente divismo.
Ora devo andare a Venezia per la Mostra, ma vengo assalita dai dubbi sul vestito, sul trucco, sui capelli; (ride) lo trovo un po’ faticoso, non mi ci trovo, non mi ci trovo in generale (Angela Finocchiaro, insieme a Claudia Gerini, Caterina Guzzanti e Paola Minaccioni è co-protagonista di “Burraco Fatale”, film di Giuliana Gamba, al cinema dal primo ottobre).
Autostima?
Davanti a quel concetto c’è un cartello con scritto “lavori in corso”; però quando sono professionalmente impegnata non ci penso, non mi pongo il problema di quanti panini devo ancora mangiare per conquistare una differente consapevolezza.
Il set la porta altrove.
(Con tono riflessivo) Sì, lì o su un palco sto molto bene e ogni volta mi stupisco, perché magari ripenso a come sono fuori dal lavoro e allora mi rendo conto della disconnessione tra le due versioni di me.
Se passano in tv un film con lei?
Cambio canale.
Non ha un’età ben definita.
È gentile, ma le assicuro che il mio braccio calante denuncia tutti i miei 64 anni; (sorride) oggi sono andata a comprami dei reggiseni, e la commessa ventenne si è complimentata; ho ringraziato, ma ho pure aggiunto: “In realtà sono un rottame”.
Due anni fa ha denunciato una certa carenza di ruoli femminili nel cinema.
Non solo di ruoli, è ridotta anche la presenza di sceneggiatrici, di registe, di produttrici; ci sono quasi solo uomini, guidati da uomini, su copioni scritti da uomini per gli uomini. La donna al massimo si può appassionare, e non sono una che ama il concetto dei “fronti opposti”.
Ma?
Anche economicamente c’è forte disparità tra i sessi: è necessario un cambiamento culturale, magari arriverà, ma non so se lo vedrò; (cambia tono) il termine “uomo” può sottintendere umanità, con “donna” non accade.
La sua Milano anni Settanta.
Una città nella quale incappavi in iniziative culturali, anche se non volevi; noi non eravamo nessuno, eppure potevamo girare con il nostro spettacolo. C’era spazio. E mi sono ritrovata a nuotare dentro a delle acque che poi sono diventate la mia vita.
Quando ha iniziato cosa cercava?
Qualcosa che mi regalasse maggiore vitalità rispetto agli anni del liceo e dell’università; (sorride) sono soldi che ho rubato a un analista.
Cioè?
Invece della classica analisi, ho preferito incanalare la necessità di un confronto dentro la quotidianità di un gruppo di lavoro; magari nelle infinite chiacchiere in pulmino, noi della compagnia strizzati dentro in sette o otto, mentre ci spostavamo di città in città.
Gruppi di autocoscienza.
Mamma mia quanto parlavamo; (sorride) sono fortunata, non sono mai stata costretta a cimentarmi con i provini, in caso contrario nessuno mi avrebbe mai presa. Nessun ruolo.
Esagerata.
È vero! Invece in quei primi anni sono stata coinvolta e artefice dei progetti che mi interessavano, portavamo gli spettacoli nelle scuole, nonostante per me fosse un inferno.
Si agitava.
A parte l’emozione, il problema era la pressione bassa: la mattina non ero in grado, mi veniva da svenire, la situazione è migliorata quando ho iniziato a lavorare la sera; (ride) le prime volte, prima dell’esibizione, volevo scappare.
Negli anni Settanta partecipava alle manifestazioni?
Abbastanza, ma sono sempre stata una fifona, poi già al tempo convivevo con le crisi di panico e non sopportavo gli assembramenti di persone, compresi i concerti.
Ancora oggi?
No, quelle crisi mi sono passate quando ho verificato che non morivo.
Affronta i problemi.
È fondamentale, per questo amo i set dove esco dalla comfort zone: con la Comencini, ne La bestia nel cuore, sono andata in difficoltà; (ci pensa) il problema di questo lavoro è proprio la seduzione della sicurezza, ripetere sempre ciò che è venuto bene, e poi sono pochissimi gli amici e colleghi pronti a dirti la verità. Siamo una categoria disaggregata, non in grado neanche di avere un sindacato.
Ama le difficoltà.
Da ragazza, appena raggranellavo qualcosa, partivo alla ricerca di situazioni al limite, viaggi assurdi, magari in Colombia o India.
Ha mai rischiato?
Anche un attacco sessuale. Ero con un’amica in un posto isolatissimo: dopo un po’ arriva un tizio strano, mi rivolge un gesto incomprensibile, come per chiedermi una sigaretta. Sparisce. Dopo poco riappare nudo, diretto verso di noi.
E?
Entrambe abbiamo preso gli zaini in spalla e urlando gli siamo andate addosso.
Si è mai sentita sexy?
No.
Proprio mai?
(Ride) Rispetto a prima, forse mi vesto più oggi con abiti femminili; (ride più forte) anni fa uscivo sempre con un cappotto deforme, enorme, che copriva tutte le forme, e da ragazza sono sempre stata quella “simpatica” o la “bella persona”.
Sempre…
Negli anni Settanta avevo un’amica che professava la religione dell’ogni lasciata è persa.
Invidia?
Porca vacca. (Sorride) Anche io mi sono divertita, eh.
Frequentava il celebre “Derby”?
Non rientrava nel mio giro, ci sono finita solo anni dopo, ma non avevo un repertorio cabarettistico; anche oggi non ho quel passo, sul quel tipo di palco è necessaria una battuta forte ogni tot di tempo, mentre a me piace affondare dentro la fatica del vivere, e trasformarla in ironia.
Nel suo lavoro cosa è fondamentale?
Come accennavo prima, amo la coralità, ricerco il gruppo, il confronto, anche se non sempre è positivo, in certe occasioni si sviluppano degli odi bestiali.
Cosa la innervosisce?
Chi non sa ascoltare, e se me ne rendo conto, mi saltano i nervi.
Ha mai dato uno schiaffo?
Solo sul set, a Elio Germano e Claudio Bisio; (ride) a Claudio, ogni volta, poi chiedevo scusa.
Di Bisio parlano sempre tutti bene…
Con lui si lavora benissimo, è un grande artigiano, mette in discussione i testi, li analizza; e poi sul lavoro porta allegria, leggerezza come nessun altro.
Tra i grandi lei è stata sul set con Alberto Sordi…
(Silenzio) Inarrivabile. Stavo zitta e lo guardavo tutto il tempo, mi poteva anche togliere la pelle dalla faccia, che non avrei reagito. E non era mica buono con tutti…
Tradotto?
Se una persona non lo convinceva, puntualmente la colpiva, beccava difetti e magagne, ed erano cavoli. Io ridevo come una matta. Ogni volta la truccatrice si disperava perché lacrimavo e mi si scioglieva il trucco.
Gli rivolgeva domande?
(Tono stupito, come se la domanda fosse una bestemmia) Noooooo! Ero piccola, stavo in un angolo; stessa situazione con Mastroianni: meraviglioso, io intimorita, ma con personalità del genere ci vuole coraggio, preferivo diventare un tappetino.
Remissiva.
Mastroianni era stupendo, e ogni giorno restavo stupita nell’attimo del ciak: un momento prima era normale, un secondo dopo era già nel ruolo, senza fatica alcuna. E nessuno di loro mi ha mai messo in difficoltà, e se hai la possibilità di lavorare con qualcuno più bravo di te, è una fortuna da utilizzare al massimo.
Celentano.
Gentilissimo, altro fuoriclasse.
Tutti bravi con lei.
Arrivo disarmata.
È una strategia.
Non ci ho mai pensato, ci devo riflettere.
Ha funzionato anche in Burraco fatale?
Sono diventata una giocatrice incallita; nonostante le riprese siano finite da tempo, con le altre abbiamo una chat molto attiva.
Le sue tre “socie” sono dotate di carattere.
E con un grande senso dell’umorismo, se poi c’è da incazzarsi, sanno come agire e spesso hanno pure ragione; rispetto a loro tre sono più spenta, funziono meglio nel rapporto a due.
È mai andata in terapia?
Mi è bastato il teatro. O forse no. E poi sono un po’ cialtroncella, sono una migrante da tournée.
A scuola come si collocava?
Mi hanno bocciato: un anno l’ho passato a ridere con la mia compagna di banco, ma era l’unica salvezza alla noia quotidiana.
I professori le dicevano “non farai mai niente nella vita”?
Magari fossero entrati così nella mia esistenza! Purtroppo no.
Neanche i suoi genitori?
Solo quando ho manifestato l’intenzione di dedicarmi al teatro, hanno reagito con un “ma che sei scema?”.
Un suo vizio.
Cioè?
Tipo la marijuana.
Ho smesso, mi dà tachicardia.
Alcool?
Stop durante il lockdown.
Sigarette?
Poche. Alla mia età bisogna limitarsi.
Paura?
Solo quando ho l’insonnia, allora inizio a pensare a catastrofi legate ai miei figli.
Chi è lei?
(Silenzio) Eh?
Chi è?
(Altro silenzio) Allora ci possiamo salutare qua.