Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2020
Il business del Tour de France
Appena 141 chilometri per portare la carovana a Loudenvielle. Così ieri il Tour de France ha assaggiato i Pirenei, alla vigilia della tappa odierna il cui menù prevedrà i colli Hourcère, Soudet e Marie Blanque, prima della picchiata verso il traguardo di Laruns, 153 chilometri dopo la partenza di Pau. È una Grande Boucle anomala quella del 2020, che causa coronavirus anziché in luglio si sta celebrando in settembre.
Eppure tra misure di sicurezza rinforzate e un rigido protocollo anti Covid, la prima settimana è trascorsa senza intoppi, salvando così le casse del movimento ciclistico. Il Tour è infatti la principale competizione del calendario, quella che assicura la sopravvivenza ai team, che hanno bisogno della visibilità offerta dalla corsa a tappe transalpina per mettere al sicuro i propri bilanci, già funestati dopo un’inattività di 4 mesi e mezzo.
Si spiega così il fatto che nella revisione del calendario i francesi abbiano goduto della migliore collocazione, senza la contemporanea presenza delle classiche Monumento, circostanza che capiterà al Giro d’Italia in ottobre. Ma, si sa, il Tour è il Tour, a cominciare dai numeri economici.
Una corsa milionaria
Il giro d’affari della manifestazione organizzata da Amaury sport organisation (Aso) è stimato in 150 milioni di euro, il 60% dei quali provenienti dai diritti televisivi, commercializzati in 190 Paesi per una audience cumulata di 3 miliardi di telespettatori. La sola tv di stato francese sborsa 25 milioni ogni anno, mentre Eurosport paga un surplus per avere in esclusiva la prima ora di gara.
Il 25% del giro d’affari è legato alle sponsorizzazioni. I partner principali sono 5 (Lcl, E.Leclerc, Continental, Skoda e Kris), i cui nomi campeggiano sulle maglie legate alle varie classifiche e sul cartellone alle spalle degli intervistati. Oltre ai magnifici 5 ci sono poi 10 partner ufficiali, 13 fornitori, 2 sostenitori, 5 partner tecnici e 4 istituzionali. Un collage ben assortito, che ha retto l’impatto del virus vista la durata pluriennale dei contratti.
Ad aver subìto una contrazione è stata invece la composizione della carovana pubblicitaria: 120 veicoli, rispetto ai 160 del 2019, tutti con motori ibridi e forieri di 15 milioni di gadget, rispetto ai 18 dell’anno passato. Riduzione dovuta sia alla presenza di meno gente lungo le strade, sia alla scelta ecologista di abolire quegli oggetti che il pubblico avrebbe gettato poco dopo.
Il rimanente 15% del business è alimentato dai contributi versati dalle città che ospitano la partenza e l’arrivo di ogni tappa. A fare la parte del leone è stata Nizza, che per assicurarsi l ’avvio ha sborsato 3 milioni e 350mila euro. Un gioco che vale la candela, se si considera che il ritorno economico è stimato in 50 milioni di euro.
Prima moneta da 500mila euro
Fin qui la parte organizzativa, ma il Tour è un affare anche per chi lo corre. Il montepremi complessivo è di 2,3 milioni di euro (il medesimo del 2019), quasi un quarto dei quali (500mila euro) vanno a finire al ciclista che indosserà la maglia gialla sui Campi Elisi. I vincitori delle altre 2 classifiche, quella a punti riservata ai velocisti e quella del Gran Premio della montagna per gli scalatori, porteranno a casa 25mila euro, mentre il miglior giovane intascherà un assegno da 20mila euro. Ma l’acquazzone di soldi non innaffierà soltanto Parigi, giacché ogni giorno c’è una pioggia di banconote lungo il percorso: al vincitore di tappa spettano 11mila euro, ai cacciatori di sprint intermedi ne vanno 1.500, a chi scollina per primo sulle salite 800, mentre al più combattivo della giornata, oltre alla gloria di portare il numero rosso il giorno successivo, va pure una ricompensa di 30mila euro.
I corridori in una bolla
Cifre che giustificano i sacrifici imposti ai corridori per portare a termine in sicurezza la rassegna. I 176 ciclisti (16 italiani) dei 22 team (nessuno di casa nostra) vivranno per 3 settimane in una bolla, senza contatti con l’esterno. Finita la tappa si raggiunge l’albergo, dove si rimane fino all’indomani mattina, quindi si sale sul pullman e si va sulla linea di partenza della tappa successiva. Mascherina obbligatoria sempre, tranne che in corsa. Bastano 2 positivi in squadra (tecnici, meccanici e autisti compresi) nel giro di una settimana e viene spedito a casa tutto il team. Niente selfie né autografi con i tifosi, così come nessuna cena con i familiari.
La “quarantena” itinerante si concluderà a Parigi il 20 settembre, mentre una settimana più tardi, domenica 27, la maglia arcobaleno di campione del mondo verrà assegnata in Italia.
Il Mondiale a Imola
Dopo la rinuncia forzata della Svizzera, l’Unione ciclistica internazionale ha assegnato a Imola l’onore e l’onere di organizzare la rassegna iridata. Quattro giorni di gare (dal 24 al 27 settembre, appunto) – i primi 2 per le cronometro, femminile e maschile, gli ultimi per le prove in linea – con partenza e arrivo dentro l’autodromo Enzo e Dino Ferrari. Spesa prevista a carico della Regione Emilia Romagna pari a poco più di 1 milione di euro.