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 2020  settembre 06 Domenica calendario

A tu per tu con Gabriel Johannes Zuchtriegel

Gabriel Johannes Zuchtriegel, non è un centrocampista del Bayern di Monaco, ma a 39 anni appena compiuti è un protagonista del rinnovamento dell’archeologia italiana. Tedesco di nascita ma ora anche cittadino italiano, Zuchtriegel dal 2015 dirige due delle più spettacolari e significative aree archeologiche italiane di fondazione greca in Campania: Paestum (che ospita ogni anno la Borsa internazionale del turismo archeologico) e Velia, entrambe in provincia di Salerno. In realtà a chiamarla Velia le si fa un po’ un torto. Meglio sarebbe chiamarla Elea, uno dei luoghi dove l’uomo si è riconosciuto come pensatore, con Parmenide e Zenone.
Il rinnovamento parte da dove il fiume carsico del pensiero ha avuto inizio e viene spontaneo domandarsi quale ruolo può giocare l’archeologia ad esempio in campo turistico e come si può immaginare il museo o l’area archeologica del futuro come fattore di promozione. «Senza dubbio – risponde preciso Zuchtriegel – l’archeologia può giocare un ruolo centrale, come anche l’arte e la cultura in genere. Tuttavia, il museo del futuro non parte da una vocazione turistica, nella mia visione. Parte invece da una visione territoriale e di servizio pubblico per la comunità. Prima di attirare turisti da tutto il mondo, che per fortuna a Paestum vengono, a Velia un po’ meno, dobbiamo far sentire la gente del posto parte di un progetto comune. Nella stessa ottica – aggiunge – abbiamo lavorato per il fundraising: ho sempre detto, un euro da un’azienda del posto, come per esempio D’Amico a Pontecagnano che ci ha dato 100mila euro per un progetto di monitoraggio sismico sul tempio di Nettuno, vale dieci volte un euro che ci dà una grande banca o azienda del Nord, perché è espressione del territorio e fa nascere un rapporto durativo. Per fortuna, nella Camera di commercio di Salerno, presieduta da Andrea Prete, abbiamo trovato un validissimo partner che ci ha sempre supportato in questo percorso».
Quali i programmi per Velia allora, viene da chiedere. E Zuchtriegel dà subito un annuncio importante che prelude alla riscoperta in grande stile di un sito che ha avuto un ruolo chiave nella storia dell’umanità intera.
«A pochi mesi dall’accorpamento di Velia all’autonomia di Paestum – spiega il giovane archeologo – abbiamo dovuto affrontare una serie di emergenze, tutto ciò durante la fase acuta della pandemia. Ora stiamo passando a interventi più strutturali per il futuro. Tra le cose che vogliamo fare vi è la riqualificazione dei depositi, che vogliamo rendere visitabili, e il restauro del teatro antico, dove ci piacerebbe poter organizzare spettacoli classici, fermo restando che sicurezza e tutela lo consentano». Si aprono dunque prospettive nuove, ci si confronta su uno scenario allargato, su modalità tutte ancora da esplorare, parliamo delle prospettive di collaborazione in campo internazionale per l’archeologia e dei vantaggi per l’Italia
«Un’archeologia “nazionale” oggi non può più competere – spiega lo studioso forgiatosi alla Humboldt di Berlino -. Non è questione di quanti “stranieri” siano in posizioni di spicco nel sistema italiano, ma di quanto sia connesso il settore archeologico su livello internazionale. Credo che in ambito museale-archeologico il Parco di Pompei e il Museo Egizio a Torino siano degli ottimi modelli. Anche alcuni atenei sono posizionati bene».
Restano però da affrontare passaggi importanti, decisivi peraltro nello scenario attuale delle sinergie tra sviluppo economico e promozione culturale. Fattori sui quali il Paese dimostra criticità da risolvere, e che il nostro giovane ma sagace manager dell’archeologia individua senza mezzi termini, con quella lucidità di spessore morale tipica della impronta germanica.
«Vedo però con preoccupazione – sottolinea con chiarezza Zuchtriegel – che l’Italia è indietro per quanto riguarda i finanziamenti europei per la ricerca. Qui bisogna agire, perché sono fondi importanti che creano anche occupazione e sviluppo nel settore della ricerca. Purtroppo un certo tipo di gestione gerontocratica e “baronale” che si è diffuso in alcuni ambienti non ha favorito l’integrazione con il sistema europeo e internazionale. Dobbiamo avere il coraggio di dare più opportunità e poteri decisionali ai giovani e sono convinto che sapranno usarli».
Proviamo dunque a tracciare un bilancio di una esperienza di rinnovamento, e chiedo a Zuchtriegel quali sono le idee per Paestum, ad esempio. Come sta mettendo in pratica quel modello di archeologia partecipativa e sostenibile, che ha enunciato all’inizio del nostro colloquio.
«Insieme all’università di Salerno, l’anno scorso abbiamo presentato il primo bilancio sociale del Parco Archeologico di Paestum – spiega -. Sono circa cento pagine, piene di dati, analisi, fatti. Se dovessi fare una sintesi, direi che abbiamo contribuito a dare dignità al contesto: al contesto territoriale, in quanto abbiamo investito in manutenzione, decoro e comunicazione producendo una reale ricaduta, anche economica, sul territorio; al contesto della fruizione, in quanto abbiamo aumentato inclusione e accessibilità; al contesto scientifico, investendo in ricerca e collaborando con università italiane e straniere; e al contesto lavorativo-professionale, valorizzando e motivando il personale sulla base quello che ciascuno sa fare meglio. Oggi abbiamo una squadra molto efficace e alcuni dei miei collaboratori credo fra qualche anno saranno al punto di diventare ottimi dirigenti».
Il modello Paestum è destinato a fare scuola. «Per il futuro sono in campo tanti progetti, anche con fondi europei. Credo che sarà importante rinforzare ancora di più la rete territoriale con Comune, Parco nazionale del Cilento e Regione, nonché con associazioni, aziende e cittadini. Paestum e Velia sono patrimonio di tutti, e tutti devono avere la possibilità di partecipare in un modo al percorso dei due siti». Una sfida importante in un momento difficile d’ora in avanti, ma i risultati fino all’inizio del 2020 erano stati importanti, con il quasi raddoppio delle visite al parco archeologico cilentano sostenuto peraltro da una massiccia campagna di comunicazione sui social media.
Dietro l’aspetto mite dello studioso, si celano aspetti privati che Zuchtriegel non trascura però di ricondurre come elementi importanti della sua formazione e dei suoi risultati. Per farmi capire meglio mi racconta un po’ della sua vicenda personale vista con gli occhi di un tedesco per il quale l’archeologia è un approdo non scontato, soprattutto con un approccio umanistico.
«I miei genitori furono tra i primi in assoluto a divorziare nel piccolo paese della Germania del Sud dove sono cresciuto. Inoltre, erano bavaresi immigrati nel Baden-Wuerttemberg svevo. Può sembrare ridicolo, ma queste cose contavano. I primi anni a scuola avevo voti medio-bassi, poi ho recuperato, finendo primo all’esame di maturità. Ero molto legato alla mia terra, ai boschi che esploravamo con le nostre bici e ai laghi dove facevamo il bagno l’estate. Ma avevo anche una grande voglia di vedere il mondo, di conoscere altre realtà e diventarne parte. Da piccolo ero affascinato dalla storia, dalle vecchie fattorie, molini, castelli. Immaginare la vita delle persone che vivevano in un mondo così diverso dal nostro, era questo che mi ha spinto verso l’archeologia. Per usare le parole di Tomaso Montanari, per me la storia era sempre una “finestra”, mai uno specchio, nel senso che mi ha sempre interessato vedere l’altro, un “altro mondo”, sia nel passato, sia nel futuro. Un altro mondo è possibile, è questo l’insegnamento della storia e dell’archeologia per me».
Il rapporto con la Germania e la sua tradizione in campo culturale e archeologico si rivela dunque più complesso del previsto.
Mi viene da pensare che se fossero ancora in vita Amedeo Maiuri ed Olga Elia sarebbero compiaciuti per le parole di Zuchtriegel. «Devo dire che l’insegnamento in Germania non l’ho trovato molto ispirante, sarà pure per incomprensione mia. Ma quel tipo di archeologia mi sembrava sterile e autoreferenziale racconta e affiorano suggestioni orizzontali più tipiche dell’approccio latino -. Ho imparato molto da amici e studenti di altre materie. Le sere a Berlino che discutevamo dei lavori di Michel Foucault, Jacques Derrida e Giorgio Agamben mi hanno formato. Poi, quando sono venuto in Italia, prima come studente Erasmus poi come borsista della Fondazione Humboldt all’Università di Matera, ho conosciuto un’altra archeologia. Archeologi come Massimo Osanna e Maria Luisa Catoni avevano un altro approccio che mi ha aperto nuove prospettive. Posso dire che professionalmente avevo da tempo la doppia cittadinanza tedesca e italiana, anche se ufficialmente l’ho solo da qualche settimana. In un qualche modo, l’Italia ha scelto me, piuttosto che io l’Italia. Ho imparato l’italiano tardi, durante gli anni dell’università per gli scavi di Selinunte. Quindi dopo alcuni soggiorni a Roma e in Sicilia, nel 2012 mi sono spostato con la famiglia da Berlino a Matera per un progetto di ricerca. Pensavamo che era per due anni e che saremmo tornati indietro, ma da allora siamo sempre stati qua. Non era programmato e certamente non avrei mai sognato di lavorare come direttore al Parco di Paestum e Velia. Sono felice che la vita mi abbia regalato queste sorprese».