La Stampa, 6 settembre 2020
Alain Cocq non può morire in diretta Facebook
Il tempo ormai non passa più in quella stanza: l’attesa della fine, tra il sollievo per una sofferenza atroce e vigliacca, che sparirà, e il dolore della morte che incombe, grave e inevitabile. Alain Cocq, 57 anni, è steso sul letto e guarda in alto. Lo ripete da mesi, nel suo appartamentino in un edificio di alloggi popolari, alla periferia di Digione: «Perché continuare a vivere come un cretino, a guardare il soffitto e niente più?». Venerdì sera, prima di dormire, ha annunciato di cessare qualsiasi cura per quella malattia rara che lo attanaglia da 34 anni e che non ha nemmeno un nome (le pareti delle arterie si stringono e si toccano, il sangue non passa più). E poi ha smesso di alimentarsi e idratarsi. «Il cammino verso la liberazione è iniziato – ha detto in un video ai suoi amici su Facebook -. Credetemi, sono felice». In realtà avrebbe voluto una scarica di barbiturici, farla finita in un colpo solo. Ma la legge francese non prevede il suicidio assistito e il presidente Emmanuel Macron, al quale aveva chiesto un permesso speciale, ha detto di non poter agire «al di sopra delle leggi»: niente da fare.Alain è un tipo tosto. Quando ancora poteva spostarsi in sedia a rotelle, negli anni Novanta aveva percorso una sorta di «tour de France», con i suoi due cani lupo al guinzaglio, per attirare l’attenzione sui portatori di handicap. Era andato anche all’estero. L’anno scorso, su una barella, con lo sguardo fisso (ma il cervello a mille), lo avevano portato a più riprese dai gilet gialli che protestavano non lontano da casa sua, intorno a un falò improvvisato. Alain è un militante nell’animo, oggi «militante per una morte dignitosa». Per questo l’aveva promesso: da ieri avrebbe trasmesso in diretta la sua agonia su Facebook, per sottolineare l’ipocrisia della legge Claeys-Leonetti (2016), che ha previsto la possibilità di «una sedazione profonda e continua» fino alla morte per i malati terminali: non per uno come lui, bloccato nel suo letto, in preda a dolori tremendi, ma non all’agonia. Tanto meno la legge consente il suicidio assistito.Ieri, però, i responsabili del social network hanno bloccato il suo profilo. «Siamo profondamente toccati dalla difficile situazione che sta attraversando Alain Cocq – si legge in una nota di Facebook -, ma abbiamo preso provvedimenti per evitare il live streaming dal suo account, poiché le nostre regole non consentono di mostrare tentativi di suicidio». Sophie Medjeberg, comunque, non si arrende. Avvocato, è il rappresentante legale di Alain. Ha 63 anni e da 35 ha la sclerosi a placche e se ne va in giro su una sedia a rotelle. Sophie è anche una delle migliori amiche di Alain. «Con lui abbiamo preso questa decisione – spiega -. I quattro badanti che si alternano al suo capezzale faranno alcuni video e me li manderanno. Poi io li invierò ai media». Sophie non è con lui, ma lo chiama più volte al telefono ogni giorno, anche ora che i suoi occhi restano sempre più chiusi. «Non saranno immagini trash. Non ci sarà il suono, non vogliamo i rantoli del dolore. Ma vedere come cambia il volto di Alain». Se lo ricorda come un epicureo. «Gli piacciono i buoni formaggi, i buoni vini. Ma ormai era alimentato con una sonda. Mi piace il suo senso dell’umorismo, perfino nei momenti peggiori. Gli voglio bene».Oltre ai badanti, nella stanza con Alain si alternano la sorella e altri familiari. Negli ultimi giorni è venuto a vederlo un’ultima volta pure François Lambert. È il nipote di Vincent, infermiere tetraplegico dopo un incidente, che se ne è andò l’11 luglio 2019, con una sedazione, ma dopo sei anni di lotte intestine alla sua famiglia. François e alcuni parenti erano favorevoli a quella fine, ma non i genitori dell’uomo e altri familiari, vicini a movimenti di cattolici integralisti e all’estrema destra. Per François, che è diventato avvocato, la legge Claeys-Leonetti, che non cita esplicitamente uno stato di agonia, per autorizzare la sedazione, la permetterebbe anche nel caso di Alain. «Ma il problema è un altro – sottolinea Lambert -: bisogna avere la possibilità del suicidio assistito, perché anche con la sedazione la persona, che sia cosciente o no, soffre tantissimo e può durare giorni o settimane». Una delle ultime notti, prima che morisse, François andò a dormire all’ospedale, nel letto accanto allo zio: «Soffocava ogni momento, non riusciva a respirare. Mi ricordo quei rantoli. Era impossibile che non soffrisse».Ora François pensa spesso ad Alain, prigioniero del suo corpo e di quella stanza. E alla sua ultima battaglia.