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 2020  settembre 06 Domenica calendario

Armani porta la sfilata in tv. Intervista

R e Giorgio sceglie di sfilare a porte chiuse. Un’altra volta. Dopo averlo deciso a febbraio, a sorpresa, quando ancora il Covid non era pandemia. Chiusura che, questa volta, è un’apertura, a tutti. L’ossimoro è un Armani Fashion Show di 40 minuti, in diretta tv. Sabato 26 settembre in prima serata su La7, all’ora in calendario durante la settimana della moda di Milano. Nessuno mai prima. «Le idee più semplici a volte possono essere le migliori. La moda in TV ha avuto il suo momento di alta spettacolarizzazione negli anni Ottanta, quando noi stilisti vi comparivamo spesso, dispensando consigli di ogni genere, ma non è mai stata utilizzata per raccontare una collezione nuova, che nemmeno gli addetti ai lavori hanno ancora visto. Si parla di democratizzazione, e cosa c’è di più democratico della televisione?».
Uno show in cui si racconterà, prima, dopo e durante, lei sempre così schivo.
«È stata una scelta istintiva, nata dal bisogno di dialogare con il pubblico. Dopo la lettera aperta su WWD lo scorso aprile, in pieno lockdown, sono stato letteralmente inondato di messaggi anche da parte di gente comune. È come se fosse stato aperto un canale diretto e autentico di comunicazione che voglio mantenere. E poi, anche ai nostri giorni, il fascino della Tv è innegabile. Personalmente in tutto quel periodo di chiusura sono stato sintonizzato e aspettavo il collegamento con Lilli (Gruber, ndr) che stimo e seguo da sempre. Sarà lei a lanciare la mia diretta».
Una sfida alla rete anche? E a proposito di rete, ultima «vittima» la modella armena. Ha seguito la vicenda, che idea si è fatto?
«La mia non è una sfida diretta alla rete, ma la dimostrazione che esiste ancora un’alternativa al digitale. Ho seguito la vicenda di Armina, da lontano: trovo sia uno di quei casi gonfiati di cui è pieno il web. La ragazza ha una bellezza piena di personalità. Il resto sono solo chiacchiere che francamente portano via tempo».
Forse per odio e invidia?
«Sono sentimenti molto umani che oggi vengono purtroppo amplificati, sì, dai nuovi mezzi di comunicazione».
L’idea della bellezza per Giorgio Armani, ieri e oggi?
«La bellezza per me è armonia tra interiorità e apparenza. È un modo gentile di essere e di porgersi, una rappresentazione della propria personalità. Non ho cambiato la mia idea di bello negli anni, proprio perché non la lego solo all’aspetto esteriore.
«Io non voglio più lavorare così – aveva detto – è immorale». Sono trascorsi cinque mesi: ha cambiato qualcosa nel suo modo di lavorare? La sua creatività? La sua visione imprenditoriale?
«Le parole che ho usato erano profondamente sentite, dette in realtà molte altre volte anche prima. Quel che ho scritto è quanto sto facendo in termini di business e di creatività: ho deciso di rallentare, di trovare una dimensione più umana e anche più vicina al pubblico, di fare meno e farlo meglio. Sono certo che si possa crescere in modo responsabile».
Subito tutti si sono stretti attorno a lei e al suo suggerimento, ma poi in tanti hanno ripreso a «ritmo»? Deluso?
«Ho un numero sufficiente di anni di esperienza per essere lucidamente realista riguardo alla natura umana. Far proclami è facile, ma applicarli poi è altro. Ma fa tutto parte del gioco».
Si sente unico coerente fra tanta incoerenza?
«Onestamente non mi interessa quel che fanno gli altri. Io sento l’imprescindibile dovere morale di essere coerente».
Quel «disallineamento criminale» di cui ha fatto cenno fra moda e vita reale si è stemperato?
«Ahimè no. Vedo ancora sfilate organizzate con gran dispendio di mezzi. E vedo un gran insistere sulla comunicazione invece che sul prodotto. Ma vedo anche stanchezza da parte del pubblico».
Sfilate di luglio: cosa ha provato a stare alla finestra?
«Soddisfatto di una scelta coerente con quanto avevo annunciato. Ho voluto rallentare: presento tutto adesso, con tempistiche consone al ritmo che sto imponendo al business e alla creatività».
A chi (malignamente) alle sue «porte chiuse» commenta «ha solo paura» cosa risponde? Ha avuto timore di ammalarsi?
«Rispondo che purtroppo i fatti mi hanno dato ragione. Il senso di responsabilità è un dovere morale: ho avuto paura per me, per i miei collaboratori, per il mio pubblico. Una scelta che rifarei e che mi fa stare in pace con me stesso».
C ’è qualcosa di questa estate che ha detestato?
«La troppa leggerezza del fare come se nulla fosse accaduto».
E cosa ha amato?
«La riscoperta da parte degli italiani del nostro Paese, così pieno di bellezza d’ogni genere».
È vero o è una leggenda che a Pantelleria, nel suo ritiro, invita i suoi ospiti a vestirsi di bianco e a rispettare gli orari?
«Mi piace che le giornate siano ben scandite e pretendo puntualità, ma i miei ospiti non sono affatto costretti a indossare abiti particolari».
Quasi tutti hanno riaperto, è vero ma le boutique erano deserte e i magazzini pieni: chi mai poteva pensare che la gente ricominciasse a desiderare? E quando mai ricomincerà a farlo?
«Siamo noi a dover lavorare perché questo accada, puntando sull’autenticità, sulla qualità del prodotto, venendo incontro alle esigenze della clientela. Il nuovo progetto di acquisto multicanale realizzato insieme a Yoox Net-A-Porter ha proprio questo scopo».
Lavoro e ambiente: cosa lasceremo ai giovani?
«Se ci impegniamo subito, lasceremo un ambiente meno malato, e una situazione del lavoro più rosea. Ma ripeto, dobbiamo impegnarci da adesso, ed è già troppo tardi».
Avrebbe voluto essere padre?
«Ho curato la mia azienda e miei collaboratori come fossero figli».
Ha mai licenziato qualcuno?
«In tronco? Solo ladri e traditori. Per il resto sempre separazioni consensuali».
Il distanziamento sociale ha significato anche una diversa (propria) percezione. Prima ci si vestiva anche per compiacere gli altri o per stare con gli altri. Pensiamo allo smart working o a una vita sociale limitata...
«Penso che vestire sia anche un gesto di compiacimento personale, e non c’è distanziamento che tenga».
Lei è sempre stato «distanziato» in questi mesi?
«Sì, insieme ai collaboratori più stretti».
La sua ricetta? Rallentare va bene, basta con gli show, basta con il superfluo, ma forse c’è bisogno di capire realmente il senso di un capo per sempre?
«Penso che la qualità di un oggetto fatto bene parli da sola».
La moda ha rincorso il fast fashion: il più inconsapevole è stato il consumatore o lo stilista? Il vero colpevole insomma chi è?
«Tutti coloro che per sete di profitto hanno dimenticato la componente emozionale della moda e hanno trasformato le aziende del lusso in supermercati, uccidendo la creatività degli stilisti e la magia della moda».
In un’intervista del 1983 a Giovanni Minoli, in tv, espresse molti di questi concetti (creatività spicciola, spettacolarizzazioni gratuite, capi inconsistenti, collezioni per pochi): allora il Covid non c’era... quindi?
«Certi mali della moda sono di vecchia data, così come la mia urgenza di denunciarli».
Ma qual è il motore della sua inesauribile energia?
«La certezza che si possa sempre fare meglio. È una dannazione, lo so».
Continua sempre a controllare che le luci siano spente a fine giornata?
«Sì, in senso figurato e non solo. Il capo sono io».