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 2020  settembre 06 Domenica calendario

Morta la corista che uccise John Belushi

«Ho ucciso John Belushi». Trentotto anni, 5 mesi, 23 giorni dopo la morte dell’attore americano, avvenuta il 5 marzo 1982 allo Chateau Marmont Hotel, a Los Angeles, California, Cathy Smith si è spenta a Maple Ridge, Canada. Aveva 73 anni.
A cambiare per sempre la sua vita di corista e cantante nata il 25 aprile 1947 a Burlington, Ontario, era stata la copertina di The National Enquirer del giugno 1982 in cui rivelò di avere iniettato a Belushi la dose fatale di droga. «Non volevo ucciderlo, ma sono responsabile» si leggeva nel titolo, accanto a una foto dell’attore. Sotto l’immagine, un altro titolo aggiungeva: «Esclusiva mondiale – La donna misteriosa confessa».
Prima dello scoop dell’«Enquirer», la morte della star di Animal House (1978) e The Blues Brothers (1980), film culto diretti da John Landis, era stata archiviata come «overdose accidentale di droga». Non era un mistero per nessuno che Belushi facesse uso pesante di stupefacenti.
La sera di giovedì 4 marzo, dal bungalow dove si era sistemato per lavorare alla sceneggiatura del suo nuovo film, Noble Rot, chiamò Cathy Smith, ex groupie passata dal folk al più «pericoloso» mondo del rock’n’roll, attraverso cui era arrivata nella dorata Hollywood. Erano completamente ubriachi quando, come lei ammise nell’intervista, che le fruttò 15mila dollari, iniettò a Belushi una combinazione di eroina e cocaina – la micidiale «speedball» – che ne causò la morte.
L’articolo portò a una nuova indagine e, nel 1983, Smith venne incriminata per omicidio di secondo grado. Accettò di patteggiare: ammise l’omicidio colposo. Condannata a 15 mesi, scontò la pena presso la prigione di Chino, in California.
Dopo il rilascio si trasferì a Toronto, dove lavorò come segretaria legale e si dedicò a parlare con gli adolescenti dei pericoli della droga.
Fece di tutto per sfuggire a quel titolo dell’Enquirer. Compreso discolparsi in un memoir (Chasing The Dragon, inseguendo il drago) pubblicato nel 1984, mentre il suo caso era ancora aperto. «Non ho ucciso John Belushi – scrisse —. Mi sento in colpa, ma è il senso di colpa che deriva dal non essere consapevole di ciò che stava realmente accadendo».
Nel suo libro Chi tocca muore – La breve delirante vita di John Belushi, 1984, il giornalista del «Watergate» due volte premio Pulitzer Bob Woodward, raccontò che, ben prima della morte del divo, Smith era nota nella scena rock come la pusher a tempo pieno di Ron Wood, Keith Richards e altri del mondo dello spettacolo.
L’articolo riportava che Smith era conosciuta come «Cathy Silverbag» perché portava una borsa argentata piena di droga – o «veleno», come lo definì il giudice che la condannò nel 1986, David A. Horowitz, della Corte Superiore di Los Angeles: «Lei – disse rivolto a Smith – era il collegamento, la fonte di quel veleno. Sapeva come usare l’ago».
Il cantautore canadese Gordon Lightfoot, di cui Cathy Smith era stata amante e musa nei primi anni Settanta, aveva raccontato la loro relazione tumultuosa nella canzone «Sundown» (1974). È stato l’unico a ricordarla dopo la morte. «Era una gran signora – ha detto al quotidiano The Globe and Mail —. Attraeva gli uomini, mi rendeva geloso. Ma non ho niente di negativo da dire su di lei».