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 2020  settembre 06 Domenica calendario

Pakistan: «Nessun onore nei delitti d’onore»

Non c’è nulla di onorevole nei delitti d’onore. Non bisognerebbe proprio chiamarli così. E infatti la parola urdu «ghairat» non andrebbe tradotta con «onore». Un altro termine è molto più appropriato: «arroganza». A dirlo non sono (stavolta) le attiviste per i diritti delle donne, ma è un uomo di 60 anni, Qazi Faez Isa, giudice della Corte Suprema del Pakistan, uno dei Paesi dove l’eliminazione fisica di una donna considerata moralmente corrotta viene ancora giustificata nella società con la necessità di salvare la reputazione della famiglia. Isa, figlio di un politico che fu vicino al fondatore del Pakistan Muhammad Ali Jinnah e spesso duro nei confronti dell’esercito e del governo, è uno dei due giudici che si sono trovati ad esaminare il caso di Saima Bibi, uccisa nel 2009 dal marito che la sospettava di tradimento. Mohammad Abbas, denunciato dal cognato, era stato condannato in primo grado alla pena di morte, convertita poi in ergastolo in appello. La ragione: aveva sparato «solo» una volta alla moglie, scrive il quotidiano «Dawn». Successivamente, si è rivolto alla Corte Suprema, chiedendo clemenza poiché aveva commesso l’omicidio per onore (alcuni giudici la concedono se ritengono che l’uomo abbia reagito ad una «provocazione»). Fino a poco tempo fa, quasi sempre processi di questo genere si concludevano senza condanne, per mancanza di prove o perché chi denuncia (spesso la famiglia della vittima) giunge a un accordo di riconciliazione con gli assassini (anch’essi familiari). Una legge del 2016 lo impedisce: ora l’ergastolo è richiesto per il delitto d’onore ma si lascia al giudice la decisione se possa essere definito tale.
Il giudice Isa non solo ha rifiutato una riduzione della pena, ma ha anche sottolineato che va fatto di più per scoraggiare la violenza contro le donne nel Paese che (forse insieme all’India) ha il più alto tasso di femminicidi al mondo: almeno 1.000 ogni anno. Le parole contano. Continuare a usare un linguaggio patriarcale rende più difficile cambiare la mentalità e contribuisce a giustificare la violenza, «elevando lo status sociale della famiglia che la commette agli occhi di coloro che fraintendono i veri insegnamenti del Corano». Sono omicidi. E volendo proprio usare un termine, ha concluso Isa, chiamatela arroganza.