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 2020  settembre 06 Domenica calendario

La verità sull’offerta di Conte a Draghi

Si avvertiva ancora l’eco dell’applauso con cui il Consiglio europeo aveva salutato il congedo di Mario Draghi dalla presidenza della Bce, quando Giuseppe Conte chiese di incontrare l’uomo che con il suo «whatever it takes» aveva salvato l‘euro e l’Unione dal default monetario e politico. L’immagine dei capi di Stato e di governo che erano scattati in piedi in segno di riconoscenza verso il governatore europeo uscente doveva aver impressionato il presidente del Consiglio italiano, che ieri ha raccontato di avergli proposto il ruolo di capo della Commissione europea.
Ma proprio il modo in cui Conte ha ricostruito l’evento, il passaggio nel quale ha detto di aver «cercato di creare consenso attorno al nome di Draghi», è rivelatore di un’idea se non estemporanea quantomeno priva di solide basi. E allora anche la risposta che ottenne, anche questa rivelata dal premier, va interpretata. È vero, «Super Mario» spiegò a Conte che voleva prendersi «un momento di stacco». E non c’è dubbio che ambisse a una pausa, dato che aveva appena rifiutato l’offerta di guidare il Fondo monetario internazionale: offerta avanzata in modo condiviso dai grandi della Terra.
Ecco il dettaglio che svela l’altra ragione per cui Draghi volle tagliar corto: avendo un’esperienza consolidata delle dinamiche di Bruxelles, desiderava evitare che il suo nome finisse nel tritacarne di una trattativa dall’esito pressoché scontato. Perché certe nomine, compresa la presidenza della Commissione, hanno valenza politica e ruotano attorno all’asse franco-tedesco che nessuno può scalfire. E dunque c’è una differenza considerevole tra l’offerta del Fmi avanzata in modo «condiviso» e l’idea di un premier dal peso non rilevante, lanciata senza essere stata concordata.
Ma c’è un altro risvolto della narrazione di Conte che ha colpito: l’insistenza con la quale ha voluto evidenziare una valutazione fisica e persino psicologica del suo interlocutore, «che mi disse di esser stanco, di volersi riposare, di non sentirsi». Se ieri il premier non fosse stato nel bel mezzo di un’intervista pubblica, si potrebbe sospettare che questo velenoso passaggio fosse stato preparato nei minimi dettagli. E se la risposta serviva al premier per allontanare da sé il sospetto di temere Draghi, in realtà l’ha alimentata. Sfoggiando una tecnica mediatica che ha ricordato gli epici duelli di D’Alema con Prodi.
Come quel passaggio che sembra una difesa dell’ex governatore e che invece limita con la derisione: «Quando si invoca il suo nome lo si tira per la giacchetta». La battuta è logora: per anni è stata usata da chi nervosamente sentiva avvicinarsi il rumore dei nemici. Di solito era accompagnata da un’altra frase, che Conte non si è risparmiato. «Draghi non lo vedo come un rivale ma come un’eccellenza». Strano allora che il premier non lo abbia inserito tra le centinaia di inviti al rutilante festival degli Stati generali di Villa Madama.
A meno che «l’eccellenza» non sia vissuta come un’ingombrante ombra. Perché fu questa la sensazione dei ministri del Pd il giorno in cui Draghi scrisse sul Financial Times l’articolo sulla necessità di una svolta in Europa, messa in ginocchio dalla pandemia. Quel giorno la delegazione democratica chiese a Conte di citare l’ex governatore nel discorso che di lì a poche ore avrebbe tenuto in Parlamento. Ma Conte non lo fece.