la Repubblica, 6 settembre 2020
Le infradito di Messi
N ei dettagli si nascondono molte cose: il diavolo, gli indizi di colpevolezza e la fine irreversibile di una storia che, tuttavia, prosegue. Un amore si può calpestare, in modo soave e irrimediabile: con la suola delle infradito. È quel che ha fatto Leo Messi nell’intervista con cui ha prolungato la sua permanenza al Barcellona. In questi mesi di clausura e distanziamento, forzati ai videocollegamenti, tutti abbiamo imparato ad arredare un set e a presentarci in modo allusivo. I più hanno scelto le librerie e gli abiti semi-formali, qualcuno le opere d’arte presunta e il casual, Messi ha creato un limbo disadorno. Ha tirato le tende bianche nel salone di casa sua, escluso la vista del giardino, la profondità che conduce al mare: nessuna prospettiva, l’annuncio del vuoto. Per affacciarsi alla finestra del mondo che invocava le sue parole ha scelto un paio di pantaloncini rossi, una maglietta blu e, soprattutto, le infradito. All’inizio del filmato le tiene scostate dai piedi scalzi, al ciak fa quel piccolo gesto mortale di infilarle, azzeccando l’inserimento del piolino tra le dita. È l’unico istante in cui a tutti è concesso pensare di poter fare con i piedi una cosa fatta da Messi, che resta lì, mostrando il calcagno nudo, il tallone dell’Achille arreso. Le infradito hanno percorso una lunga discesa nella storia per arrivare fino a questo momento simbolico. Una lastra di pietra risalente al 2250 avanti Cristo ne mostra un paio ai piedi del re di Mesopotamia Naram-Sin. L’uso, al tempo, era riservato alle classi superiori. Una studiosa spagnola ha scritto su El País, impreziositi da gioielli intarsiati, andavano forte anche in Egitto, sia in vita che in morte: pare li indossi perfino Tutankhamon, nel sarcofago. Nel video di Messi, invece, segnalano che il re è nudo e che si tratta in realtà di un bambino infelice. Il piccolo guerriero ha deposto la corazza e si è ritirato nella tenda. Precluso il fulgore della vendetta, non gli resta che questo chiaroscuro e un’ombra ben presto sarai. Ha svestito l’estate del proprio scontento, stracciato tutte le immagini ufficiali in cui non riusciva a inseguire la gioia con l’eleganza (tremendo nello smoking a pallini sul palco con il Pallone d’oro). Di lui fin qui circolavano due sole espressioni: con la maglia del Barcellona o senza. Ma i piedi erano sacri. Li ha profanati per sancire il disimpegno. Può finire una passione e continuare una relazione, ma nella proroga non c’è gioia, né vittoria. Si sta insieme finché il figlio andrà all’università all’estero, scadrà il contratto o scatterà la clausola liberatoria. Buonanotte tristezza. Guarda Sebastian Vettel alla Ferrari: sta guidando in pantofole. O gli ultimi mesi di Miralem Pjanic alla Juventus, giocati con le espadrillas. Nessuno può pensare di aver già dato: ogni mattina la storia ricomincia e ci si ripresenta, dalla testa ai piedi. Disse Osvaldo Soriano in un’intervista: «Le tappe percorse non sono esperienze che si accumulano, tutto succede e sfuma nello stesso tempo, restano orme confuse su una strada vuota». Quelle lasciate da un paio di infradito si sovrappongono alla punteggiatura delle scarpette magiche. Nel mondo ordinato secondo la gerarchia di Google e la memoria irriconoscente della maggioranza, l’ultima immagine è quella che resta. Messi dovrà reinventare una traiettoria di gioco e di vita per far scendere nel sottoscala dello schermo quel video infelice. In una storia che è stata straordinaria un capovolgimento è un fiasco. Come direbbero in America: flip flop.