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 2020  settembre 05 Sabato calendario

Orsi & tori

Vi ricordate di Tiscali? In pieno boom internet arrivò a capitalizzare più della Fiat con un valore della singola azione arrivato a 1.197 euro. Poi era precipitata, il 1° dicembre 2005, a 1,72 euro, fino a un prezzo ad azione di 0,0071 euro toccato il 16 marzo di quest’anno. Martedì 1° settembre ha avuto in un solo giorno una crescita del 61%. Renato Soru, il suo inventore, è ritornato alla ribalta. La sua famiglia aveva in Sardegna un’attività legata ai servizi funebri e poi ai supermercati. Dopo il boom e dopo la caduta, Soru, nel giugno 2004, è entrato in politica, diventando presidente della giunta della sua regione. Poi ha lasciato anche la politica, ritornando a Tiscali nel maggio 2019 dopo anni a quota periscopica. Quale miracolo è successo per un exploit borsistico che, come la drammatica caduta, ora potrebbe essere iscritto negli annali di borsa per una crescita tanto violenta?A resuscitare Tiscali è stata, come anche Soru ha spiegato, la notizia dell’accordo fra Cdp e Telecom Italia, fra Fabrizio Palermo e Luigi Gubitosi, per la costituzione della società unica per la fibra superveloce che arrivi fino nelle abitazioni e negli uffici degli italiani. Ma perché, se si farà la società unica, Tiscali dovrebbe ritornare in auge?
Perché, dice Soru, Tiscali potrà erogare una serie di servizi a valore aggiunto che richiedono collegamenti veloci. Una sorta di Ott (lui accetta la definizione) dell’isola della Costa Smeralda e del Billionaire.
Con tutto il rispetto umano, la maggiore credibilità di Soru è oggi il suo amico e compagno di Bocconi, Claudio Costamagna, grande finanziere a Goldman Sachs e poi battitore libero, che è oggi anche socio della finanziaria che ha la quota di comando di Tiscali.
La Bocconi in effetti ha segnato anche l’approdo in borsa di Tiscali. Renato alla Bocconi, dove non si era laureato, era compagno di camera di Massimo Cristofori, che era allora direttore finanziario di Class Editori, quotata in borsa dal 1998. Soru era stato fra i primi a maneggiare internet e aveva stabilito un buon rapporto con Elserino Piol, grande conoscitore della tecnologia in Olivetti e fondatore di Italiaonline. Chiese a Cristofori di spiegargli come Class Editori si era quotata e propose uno scambio azionario. Gli fu spiegato che a quotare Class era stata la Banca Rothschild di Parigi insieme ad Abn Ambro. Mi chiese se gli presentavo i Rothschild. Lo introdussi ad Alessandro Daffina, che guidava l’ufficio di Milano. Riuscì ad ottenere dai grandi banchieri parigini un mezzanine di 10 milioni di euro con opzione, per i Rothschild, di convertirlo in una percentuale di circa il 5% della società. Per la banca francese fu un affare straordinario a seguito della capitalizzazione pari a quella della Fiat. Mentre Soru espletava le pratiche per la quotazione, i professori della Bocconi riuscirono a farlo laureare, in modo da qualificare il suo curriculum. Soru promise di fare una donazione per realizzare camere nel pensionato Bocconi da destinare a studenti sardi.
Era un uomo al settimo cielo, peccato che si rifiutò, quando il titolo era alle stelle, di eseguire lo scambio di azioni Tiscali (omonimo del monte sardo con resti nuragici) con azioni Class che gli erano state messe a disposizione secondo il contratto. Ci volle una causa lunghissima con l’avvocato di Class, il professor Franco Bonelli, per avere i titoli Tiscali: l’esecuzione del contratto avvenne quando il titolo era già precipitato.
Perché Soru si era comportato così? Non glielo abbiamo mai chiesto, ma era evidente che quando il titolo era alle stelle temeva che anche la vendita di una percentuale piccola generasse una caduta del valore, ma in realtà a farlo precipitare fu la fine della bolla internet.
Ora si può riprendere? È umano augurarglielo ed è anche possibile avendo accanto un banchiere serio come Costamagna. Ma è sicuro che neppure la decisione di agganciare la nascita della società di fibra unica fra Telecom e Cdp potrà permettere a Soru di rivivere quel boom. E si deve aggiungere: per fortuna, per la serietà e per il mercato. Anche perché, come ho già scritto, non vi è certezza che l’esecuzione della lettera d’intenti firmata da Palermo e Gubitosi sia eseguita senza colpi di mano da parte dei ministri dei 5Stelle che per bocca del senatore Andrea Cioffi, ex sottosegretario allo Sviluppo economico, molto legato a Luigi Di Maio, nell’intervista a MF-Milano Finanza di martedì 1° settembre, ha rivendicato il controllo allo Stato della nuova società, per la quale non è sufficiente la governance fissata nella lettera d’intenti e che soprattutto la società della fibra super veloce dovrebbe essere integrata verticalmente con la rete delle torri 5G, del data center e del cloud; e Tim non deve mantenere la maggioranza azionaria della società unica, che invece è stata concessa perché appunto nella governance la società guidata da Gubitosi non avrebbe la maggioranza dei consiglieri, in un bilanciamento dei poteri.
Come dire, non ha valore l’intesa per quella governance decisa con accordo fra il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd) e il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, sicuramente il più serio dei 5Stelle. Nessuno dei capi del Movimento 5S ha preso la parola per smentire Cioffi e quindi si deve ritenere che l’intesa sia davvero precaria.
Come non bastasse, l’ex amministratore delegato e presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè, in una intervista a Repubblica ha evidenziato più di un problema per la realizzazione del progetto, soprattutto da parte dei controllori europei dell’antitrust e del settore delle telecomunicazioni.
Signori, non scherziamo. Come si è ricordato in queste colonne nel numero del 29 agosto, l’Italia sulla fibra super veloce fin dentro gli edifici è in ritardo di vari anni rispetto agli altri Paesi europei, senza considerare Usa e Cina. E lo è per la disastrosa privatizzazione che fu fatta di Telecom Italia, con il ridicolo nocciolo duro alla francese che raccoglieva appena poco più del 6%. Poi c’è stata l’opa e quindi il tentativo di mettere ordine di Marco Tronchetti Provera con Pirelli, la società fra banche e Telefonica, l’arrivo di predatori francesi guidati da Vincent Bolloré con Vivendi che è oggi il maggior singolo azionista della società italiana ex monopolista delle telecomunicazioni. Come se non bastasse, è arrivata la sentenza della Corte Europea di giustizia che potrebbe far saltare la legge Gasparri del 2004, che proibiva il comando contemporaneamente nel mondo televisivo e in quello delle telecomunicazione, dove Vivendi è presente in Italia attraverso il 28% in Mediaset e il 23,94% in Telecom Italia.
Prima di drammatizzare la situazione, come hanno fatto vari giornali e in particolare Repubblica, occorre mettere un po’ d’ordine su alcuni punti:
1) Una sentenza europea ha effetto esecutivo nei singoli Paesi della Ue? Secondo il costituzionalista professor Sabino Cassese sì, perché ritiene che la Ue sia un livello superiore rispetto ai singoli stati. Ma ci sono anche pareri diversi, perché gli Stati hanno trasferito sovranità a varie entità europee, per esempio nel campo bancario con la Bce per cui le banche centrali europee devono seguire la linea della Bce. Ma, per esempio, non hanno ceduto nessuna sovranità nel campo fiscale, al punto che ci sono Stati membri (Olanda, Lussemburgo, Irlanda...) che fanno dumping verso altri Stati. Dal che si capisce che in primo luogo occorrerebbe mettere ordine nella Ue, o completando il processo di centralizzazione oppure definendo in maniera chiara quali sono i poteri della Ue. Ragionando per similitudine, e specificatamente nel capo delle leggi, il parlamento europeo non ha il potere di fare leggi che automaticamente abbiano valenza nei singoli Stati, tanto è vero che sono state emanate direttive che i singoli parlamenti nazionali devono inserire nella legislazione nazionale, dando anche interpretazioni diverse fra uno Stato e l’altro, se non nella sostanza nei dettagli, che talvolta contano più della sostanza. Ciò indica che l’Italia ha lo spazio per interpretare la sentenza della Corte di giustizia europea e non per tradurla immediatamente in pratica. Basta pensare alla Corte costituzionale tedesca che aveva sentenziato sull’impossibilità della Bce di comprare senza limiti titoli degli Stati e delle aziende. Per converso, avendo accertato che la sentenza della Corte costituzionale tedesca non può imporre niente a una istituzione europea, si può anche ritenere che nei singoli Stati il potere di giudicare una legge spetti alla Corte costituzionale del Paese, in relazione alla Costituzione sovrana di quel Paese. Quindi, teoricamente anche la Corte costituzionale italiana potrebbe occuparsi dell’argomento, essendo in discussione la sovranità dell’Italia. Ma a parte ciò non è comunque, come alcuni sostengono, in discussione il controllo italiano su Mediaset. Anche in Consob non c’è preoccupazione di scalata, visto che Fininvest ha una quota vicina alla maggioranza assoluta e stanno per essere validati i diritti di voto plurimi.
2) Il problema, piuttosto, riguarda gli effetti di precarietà e di confusione che la sentenza della Corte di giustizia europea genera per la costituenda società unica della fibra super veloce, in quanto Vivendi in Telecom è il maggior azionista. Telecom è una società quotata in borsa con larghissimo flottante e quindi Vivendi-Bolloré potrebbe aumentare anche significativamente la sua quota fino al 29,9% con un evidente assunzione di comando assoluto nella società. Ma, come finalmente ci si è resi conto dopo il disastro della privatizzazione, Telecom è una società assolutamente strategica, connessa anche alla sicurezza oltre che allo sviluppo del Paese. Ci sono quindi i termini perché il governo eserciti la golden share che ha predisposto durante il lockdown e che dovrà essere rinnovata poiché scadrebbe a fine anno. A suggerire un tale provvedimento era stata la Consob, che se non ha preoccupazioni di scalata su Mediaset, certo è vigile sulle mosse di Bolloré, il quale ha un peso anche all’interno di Mediobanca e di conseguenza delle Generali, con Leonardo Del Vecchio in salita nella banca e con una evidente predilezione per la Francia. Francia che è condizionante anche per le possibilità dell’Italia di ricevere fondi dall’Europa. Insomma, un governo debole come quello Conte e soprattutto con forti divergenze su chi lo sostiene, non può illudersi che la Francia possa essere solo un alleato a Bruxelles per i fondi europei. La Francia ha campioni che vedono uno sbocco naturale di crescita in Italia. Anche in aree strettamente strategiche del sistema Italia. Questa espansione si è già sviluppata nel settore della moda, dove fra il gruppo Arnault e il gruppo Pinault hanno già comprato, con pochissime eccezioni, quasi tutti i marchi più importanti. Capitale francese controlla anche la Edison. Le ambizioni di Axa su Generali sono note... Se la Ue fosse davvero un’entità completata, le preoccupazioni potrebbero essere minori, anche se la localizzazione dei centri dei poteri è sempre molto importante, basta pensare alla concorrenza che si fanno gli Stati degli Usa per avere il quartiere principale di Ibm o di Amazon. Quindi occhio, anche perché non esiste reciprocità e quando Silvio Berlusconi fece in Francia La Cinq, si sa come andò a finire. E mentre una banca francese, Bnp, ha preso il controllo di Bnl, nessuna banca italiana ha una presenza significativa in Francia.
3) In questo contesto, nonostante tutti i problemi contingenti per i quali questo giornale augura a Berlusconi e alla sua famiglia che tutto si risolva per il meglio, paradossalmente potrebbe essere Mediaset a togliere qualche castagna dal fuoco al governo. Per esempio prendendo una partecipazione in Telecom, in modo da aumentare la quota italiana, magari insieme a Cdp.
Questo giornale non è nazionalista essendo europeista, ma se l’Europa resta un’opera incompiuta, che così com’è serve solo, opportunisticamente, ai Paesi più forti, occorre che il governo non faccia come Don Abbondio e invece il coraggio se lo dia anche se non ce l’ha.