la Repubblica, 5 settembre 2020
Caro Diario di Porta Pia
«Posta la capitale a Roma ognun vede che le provincie dell’Italia centrale e dell’Italia meridionale entreranno in una via di progresso tale da raggiungere in pochi anni quello dell’Italia superiore. Allora l’Italia sarà una gran potenza». Ho trovato questa generosa previsione nella seconda pagina della Gazzetta Piemontese di martedì 13 settembre 1870: il giorno dopo l’ingresso dell’esercito italiano nel territorio pontificio, una settimana prima della breccia di Porta Pia. La buona società torinese sognava un’Italia migliore – ancora lo fa, abbastanza spesso – e il giornale di Vittorio Bersezio, progenitore della Stampa, illustrava ai lettori i vantaggi che avrebbe portato l’immissione di Roma e di quel che restava del vetustissimo Stato della Chiesa nel Regno d’Italia.
«Lo Stato romano – diceva ancora l’articolo – or misura una superficie di 11,790 chilometri quadrati. La popolazione ascende a 723,000 abitanti. Roma contava nel 1869 abitanti: 220,000 fra cui 6400 ecclesiastici. Viterbo conta abit. 14.000; Velletri 13,000; Civitavecchia 10,000». Il redattore dimenticava Frosinone, l’altro capoluogo di provincia. Ma insomma questo era tutto ciò che si poteva misurare.
Il problema era ed è sempre che né la politica, né la storia, tanto meno quella che è ancora da fare, sono scienze esatte e che con l’immaginazione si può misurare solo il desiderio: sicché ancora oggi ognuno vede che il pronostico della Gazzetta risulta uno sproposito.
Ma c’è un modo per misurare la storia? Sì, lo so, ci sono le onde lunghe e le brevi, che è un po’ come dire la scuola francese e l’italiana. Una volta, tantissimi anni fa, ho avuto la fortuna di poter incontrare e intervistare Fernand Braudel: era un uomo incantevole, come persona, non solo come storico. Erano incantevoli a modo loro anche Renzo De Felice e Rosario Romeo, i cui Mussolini e Cavour non sono onde, sono maree. No, non c’è misura: ci può essere solo curiosità e voglia di capire, mettendo uno appresso all’altro gli eventi, cercando di spiegarsi le ragioni di tutti – non dico condividerle – denunciando all’occorrenza la simpatia che si ha per un personaggio e anche l’antipatia che si soffre per qualcun altro: Mazzini e Crispi, per fare gli esempi che mi vengono subito in mente.
Se questo è un metodo abbastanza onesto, se non si è proprio appassionati della sintesi, allora, mi sono detto, si può anche provare a trattare la storia in forma di diario: un diario fittizio, naturalmente, ma non inventato, anzi, fedele il più possibile ai fatti e anche alle opinioni, agli atteggiamenti, alle ragioni delle diverse parti in contrasto. Il diario – che pubblicheremo a puntate, ogni giorno a partire da oggi, sulla Cronaca di Roma di Repubblica — comincia il 5 settembre 1870, che è il giorno in cui il governo italiano, decide finalmente di fare andare a Roma il corpo d’esercito comandato dal generale Raffaele Cadorna. Fino a uno, due giorni prima c’erano ministri convinti che l’occupazione dovesse almeno per il momento escludere la città di Roma. Poi è arrivata la notizia che ha tolto ogni dubbio: la proclamazione della Repubblica a Parigi, la liquidazione politica dell’imperatore dei francesi, Napoleone III, sconfitto dai tedeschi a Sedan: era un vecchio amico dell’Italia, ma era anche e soprattutto il gran protettore del potere temporale del papa.
È anche da questi incastri che si sviluppa la storia. Arriviamo fino al 2 ottobre, la domenica del plebiscito: sono quattro settimane, nelle quali ogni giorno succede qualcosa, con le incertezze, gli imprevisti, le indecisioni, le contraddizioni che sono il pane quotidiano della cronaca e, di riflesso, anche della storia. Questo, per ora: poi si vedrà. Altre cose ci sarebbero da raccontare: penso per esempio a Mazzini che esce dal carcere di Gaeta per l’amnistia con la quale Vittorio Emanuele celebra l’acquisto della famosa eterna città, Mazzini che prende il treno e deve fermarsi per una notte a Roma, ma si rifiuta di vederla e si chiude in albergo. Penso alle botte fra clericali e anticlericali in piazza San Pietro l’8 dicembre, la festa dell’Immacolata voluta da Pio IX. Penso soprattutto a quel tanto o poco di mistero che segna il legame fra Roma e l’Italia, un legame ovviamente molto più vecchio e solido dei fatti che ho pensato di poter raccontare.