Tuttolibri, 5 settembre 2020
Al Drive In per vedere l’arte senza stress
È una mostra underground, fatta di distanze. È di quelle iniziative più facili da trovarsi in condizioni di guerra, come quelle del bunker Obala di Sarajevo, o nei paesi sotto dittatura. Ma è anche il souvenir del sogno americano anni Cinquanta, quando l’auto ti portava su, dritto, sino al paradiso. Ti puoi trovare di fronte a cappi colorati, pelosi e preziosi di Antonio Riello oppure al cospetto di poetici vitelli (come foto vintage), ricavati dalle muffe della parete scrostata, di Stefano Arienti. «Art Drive in, Generali» è da visitare in macchina, la prima mostra post-Covid19 allestita nel Garage dell’Agenzia Generali Brescia Castello di Via Pusterla 45. Nata da un progetto dell’Associazione Bellearti con il sostegno appunto delle Generali, la collettiva – che riunisce una trentina di artisti con lavori site-specific – è stata la prima reazione fisica alla digitalizzazione relazionale imposta dal lockdown.
Massimo Minini, presidente dell’Associazione bresciana che comprende una ventina di gallerie, spiega: «Chiusi musei, gallerie, scuole, stadi, cinema, teatri, ci siamo messi in rete, senza accorgerci che venivamo appunto dolcemente presi nella rete come pesci che stanno per essere pescati. Abbiamo pensato cosa si poteva fare per non finire arrostiti dal web che deve restare a nostro servizio e non viceversa». L’eterogeneità delle scelte artistiche propone un panorama complesso che traccia la drammaticità del presente con astrazioni, illusioni, ironia e figure pop.
All’ingresso del garage, siamo di fronte al tunnel dipinto da Thomas Braida, con una tenda rossa da palcoscenico contro la quale Willy il coyote va normalmente a spiaccicarsi inseguendo Beep-Beep. I finti binari gommosi di un’autorimessa, di Leonardo Ankel Vandal, sui quali parcheggiare l’auto, non portano da nessuna parte se non contro un cerchio di smalto nero riflettente. Enrico T. De Paris, poco più in là, propone siluette umane multicolori attraversate da virus, microbi, organi e parole luminescenti. L’artista ha trasformato le immagini, disegnate durante una sua lunga degenza ospedaliera, in un grande murale. In queste opere sotterranee il senso di impotenza è palpabile.
Troviamo astrazioni e geometrie, come l’opera di Mimmo Paladino fatta di linee orizzontali e croci rosse. Ci imbattiamo nella parete di finto marmo disegnato e stampato su linoleum da Linda Carrara. Piccoli dettagli del quotidiano vengono ingigantiti e, nell’opera di Olivo Barbieri, subiscono una concettualizzazione che ne ripropone la forma originaria. Si tratta di bagliori, idee fugaci, come le linee orizzontali di Michele Lombardelli che evocano la Pianura Padana. L’energia e il gesto vengono invece da Oriente e occupano un grande spazio nel lavoro – a metà tra cultura zen e arte europea – del giapponese Osamu Kobayashi. Ma è Giovanni Gastel che, con una gigantografia lunga sette metri, ha messo in posa cinquanta personaggi del mondo dell’arte e del design, da Nanda Vigo a Alessandro Mendini, disponendoli lungo una tavola non imbandita. I commensali (persone dell’altro mondo) sembrano in attesa e ci guardano dal passato. È una platea intelligente, austera e portatrice di utopie non più possibili. Antonio Marras ha posto, su trespoli ruggini, oggetti liberati dal gesso. Con un martello ha spaccato gli involucri che li tenevano prigionieri e li ha collocati sotto i nostri occhi, compiendo un atto psicomagico di liberazione dalla costrizione emergenziale. Sullo schermo di un monitor intanto, le immagini vintage anni Ottanta della trasmissione Drive-in di Antonio Ricci, ci riportano in un tempo che pare lontanissimo e la cui prospettiva era costituita dalle gambe nude delle veline.
«Art Drive in. Generali» è il prodotto di un allarme globale, la fase terminale di un’idea di progresso che si arresta davanti a un virus insidioso, ma è anche la volontà di trasformare la condizione attuale, mostrando, l’immobilità sociale che la specie attraversa. L’iniziativa ricorda una mostra che ebbe luogo nel 1973 nel garage di Villa Borghese a Roma curata da Achille Bonito Oliva e organizzata da Graziella Lonardi. «Contemporanea» cambiò il corso degli eventi, ruppe i confini nazionali e disciplinari e portò a galla l’energia nascente degli anni settanta. Oggi siamo agli antipodi: allora si teorizzava l’amore libero ora camminiamo ingessati e distanti dai corpi degli altri. L’arte però è superpartes e vede oltre. Ora è in un parcheggio ma è pronta a ributtarsi in strada più vitale che mai. La mostra, aperta a oltranza, è visitabile tutti i giorni.