il Fatto Quotidiano, 3 settembre 2020
L’amore tra Montale e la Spaziani
Le lettere di Montale alla Spaziani si trovano al fondo Manoscritti di Pavia, istituzione di fronte alla quale, come ha raccontato Maria Corti in Ombre dal fondo, sono emersi scheletrini sepolti dalle suore di un antico convento, peccati inconfessabili fatti sparire appena dopo la nascita se non prima: una simbologia ossea malaugurante per tanti feti filologici in attesa della luce delle librerie. Le lettere della Spaziani a Montale invece non esistono più perché il poeta non le ha conservate, causa gelosia della moglie.
Si definiva poeta Maria Luisa Spaziani, non voleva essere chiamata poetessa e la voce cavernosa con cui parlava la rendeva convincente. Non c’era bisogno di spiegazione ma era come se la versione femminile di un nome fosse diminutiva o dispregiativa (vedi ironia di Calvino sul “Gran Khan” e la “Gran “Khagna”). L’ho incontrata a Roma poco prima che morisse e dopo il rientro dall’ospedale dove era stata ricoverata in seguito a una caduta. Viveva sola in un appartamento in Prati. Aveva rotto con l’unica figlia, era sola in mezzo a una confusione totale, tra cartoni della pizza e il ritratto che le aveva fatto Picasso. La sua mitologia esistenziale si fondava su alcuni eventi, vette e abissi, ascese e cadute lungo il piatto cammino della quotidianità. Tra le cadute la rottura del matrimonio con Elémire Zolla, sposato nel ’58 dopo un fidanzamento di dieci anni e fuggito con Cristina Campo poco dopo le nozze.
Nella mitologia positiva spiccava l’incontro con Montale nel ’49. La Spaziani aveva 27 anni e le era stata presentata con altri giovani poeti piemontesi al termine di una conferenza al teatro Carignano di Torino e l’aveva sfrontatamente invitato a colazione: “Meno male che Proust è morto” sarebbe stato il commento dei genitori quando si sono visti il futuro Nobel in casa. Sotto il segno di Montale era stato l’esordio del ’54, Le acque del sabato. La raccolta di poesie, uscita nella prestigiosa collana dello Specchio Mondadori, ha scatenato malignità sulla natura del loro legame, i 26 anni di differenza e l’aiuto alla pubblicazione. Più avanti la Spaziani non avrebbe fatto mistero della relazione che li legava. Ma la questione dell’aiuto l’offendeva. Amante sì, protetta no.
Montale era l’Orso, lei la Volpe. Ma tra l’Orso e la Volpe c’era la Mosca. Cioè Drusilla Tanzi, dieci anni più anziana di lui. Con lei Montale conviveva dal ’39 e si era sposato nel ’62, per restare vedovo poco dopo. Qualcuno, con la perfidia tipica dell’ambiente letterario, la descriveva come “un attaccapanni con gli occhiali” per l’aspetto fragile e i problemi alla vista. Pure la nipote Natalia Ginzburg parla delle sue spesse lenti di Drusilla in Lessico famigliare. “La Mosca era furibonda di gelosia quando ha saputo dell’infatuazione di Montale per la Spaziani. Mia moglie a un certo punto le ha detto: ma non preoccuparti, sarà un amoraccio senile… Così la Mosca, offesissima, ha rotto i rapporti con noi” ricordava Gillo Dorfles, autore di un articolo per il Corriere sulla “vita spericolata di Eusebio”. Eusebio era il soprannome di Montale e faceva un po’ playboy sudamericano: più che uno pseudonimo un ossimoro.
Ma solo un personaggio timido e arido come lui poteva scrivere una grande poesia d’amore senza cadere in melensaggini. Niente voli pindarici, ma parole che fluiscono essenziali fuori dalle vene della vita, aperte dal colpo fatale, sia pure dopo una vita condotta al cinque per cento: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino./ Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio./ Il mio dura tuttora, né più mi occorrono/ le coincidenze, le prenotazioni,/ le trappole, gli scorni di chi crede/ che la realtà sia quella che si vede…”.
La luce crepuscolare di cui sono imbevuti questi versi stride con l’ottimismo cromatico di quella che è forse la più bella poesia della Spaziani: “L’indifferenza è inferno senza fiamme,/ ricordalo scegliendo fra mille tinte/ il tuo fatale grigio./ Se il mondo è senza senso/ tua solo è la colpa:/ aspetta la tua impronta/ questa palla di cera”. Più che immalinconita dalla vecchiaia, la Volpe sembrava arrabbiata, priva di difese e schermi, pronta all’offesa perché la palla era sempre più refrattaria alla sua impronta. Si è parlato di letteratura e mi ha raccontato delle lettere di Montale che si augurava sarebbero state pubblicate dalla Mondadori dopo il Meridiano che l’aveva incoronata non ancora postuma, caso rarissimo per i poeti. Se nominavi altri artisti, li azzannava. Non senza classe, bisogna dire.
Gli artisti tendono a rappresentarsi come persone nobili (la Spaziani credeva agli angeli ed era legata a Giovanna d’Arco), ma dal vivo mostrano anche aspetti poco edificanti. Naturalmente ne hanno come e più di tutti per la difficile condizione in cui sono immersi, tra alti e bassi dell’attività letteraria, i quali accentuano egoismi e rivalità.
Mi aveva dunque colpito la sfrontata sincerità della Spaziani nel raccontare un’altra ferita: dopo avere fondato il premio Montale si era vista portare via la creatura e anche l’appartamento di piazza Vittorio a Roma, eletto a sede del premio, in quella Roma piemontese ormai solo per via dei portici. Si è spenta lunedì 30 giugno 2014, qualche mese prima di compiere 92 anni. La stessa data di una poesia della sua prima raccolta in cui vedeva pietra tra le pietre in un concerto notturno di grilli.