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 2020  settembre 03 Giovedì calendario

Trent’anni di biopolitica berlusconiana

Nel tempo rarefatto e al tempo stesso ipercarnale della biopolitica non poteva mancare, a pensarci bene, l’attacco Covid all’epico corpo di Berlusconi. E non solo era prevedibile, ma nell’epoca insieme trasparente e allucinata delle visioni a distanza si può immaginare, forse individuare e addirittura rivedersi sul telefonino il presunto momento in cui l’uomo che quest’epoca ha tenuto a battesimo è stato contaminato.
Lo sfondo del video è quello inconfondibile e ormai entrato nella leggenda cinematografica di Villa La Certosa, con i prati pettinatissimi, le siepi in fiore, il golfo della Costa Smeralda, una lingua di mare e delle barche. È il 12 agosto e il post reca il titolo «Visita a un amico speciale». In piedi e con le mani ribalde sui fianchi Briatore riscatta ad alta voce la sua invadenza con un trasporto che oggi risuona, non solo nei toni, agghiacciante: «Grande giornata oggi, sono venuto a trovare il mio amico presidente, che gli voglio tanto bene, lo trovo in forma, bravo Silvio!». Appena un po’ assente, o magari seccato per l’impostazione tra il paternalistico e il metasanitario, Berlusconi si torce le mani, sorride, ringrazia “di cuore” e fa gli auguri. Segue su Instagram una foto dei due abbracciati ancora più vicini, certamente per la gioia dei loro tantissimi amici, fan, elettori, adoratori, un bel pezzo d’Italia. Interessante sarebbe uno studio sui 5.519 commenti. Ma prima che l’immagine entri nella storia varrà la pena di completare questa specie di paesaggio sentimentale segnalando, in basso a sinistra, la bianca sagoma di Dudù. Ora, non è questo il luogo per diagnosi selvagge, anche perché nessuno potrà mai stabilire chi esattamente ha impestato il Cavaliere; tantomeno si coglierà l’occasione per dar sfogo a manifestazioni di Schaudenfreude che sarebbe la parola con cui i tedeschi definiscono quel particolare moto dell’anima che consiste nel gioire per le altrui disgrazie. Ingiusto e crudele, prima che inutile, tirare in ballo l’intelligenza del virus, del destino, del karma o magari – come un tempo – di Nostro Signore. Piuttosto, e con sollievo si rientra qui nell’ambito dell’osservazione politica, oltre che della più avveduta saggistica (Il Corpo del Capo di Marco Belpoliti, Guanda 2009), vale notare quanta importanza ha rivestito la persona fisica di Berlusconi. La vera e propria attrazione mitica, magica ed enormemente mediatica che da un quarto di secolo seguitano a esercitare le sue avventure fisiologiche e peripezie sanitarie, il loro simbolico legame con il potere lungo un orizzonte di crisi della democrazia, nel vuoto di ideali e nel deserto di progetti.
Per cui all’inizio la voce inconfondibile, l’energia, la statura, quel doppiopetto con cravatta a pallini che sembrava solo suo, e la dieta tibetana, il cuoco, il preparatore atletico, il misterioso pizzico di ragno, la dichiarazione di tecnica immortalità del dottor Scapagnini, il microfono sui denti, “Cribbio!”. Qualcosa, un passaggio, un processo, un movimento all’indietro, iniziato in verità prima ancora che arrivasse Lui, nel momento in cui, da astratta che era, la politica è tornata a essere tecnologicamente figurativa, ma che più di ogni altro Silvione ha portato a compimento, fino a fare di questo suo corpo sovrano il surrogato, anzi l’unico vero strumento e fine del suo lungo dominio. E sembreranno discorsi oscuri e fumoserie, ma se si chiede a due generazioni ormai di cronisti quale è stata in definitiva la politica di Berlusconi è facile si ottengano per lo più balbettii; mentre tutti sanno e ricordano le corsette improvvise a seminare la scorta, i periodici malori, l’avversione per l’aglio, l’edificante vittoria sul cancro, il “tagliando”, come lui stesso definì spiritosamente il quarto o quinto intervento di chirurgia estetica; e la bandana pre-trapianto, la singolare calotta post-reimpianto, le tre o quattro operazioni, dal menisco al bypass, eseguite nei meglio ospedali di tutto il pianeta, il fatto che d’inverno non mette la canottiera, la prostata e barzelletta sulle gare di schizzo con Confalonieri, l’uveite e quei fantastici occhialoni neri, il cavalletto e la statuina scagliatagli sul volto a piazza Duomo, la maschera di sangue con susseguente cerottone e molare mancante esibito in conferenza stampa, aiuto!
Berlusconi come mutante perennemente in transito verso un’era successiva entro cui ci si perde in repertori non sai se più faticosi, o teneri, o scabrosi, comunque fantastici. La satiriasi, la pretesa pompetta, i lividi e i graffi nei bagni di folla, le spose gravide che gli facevano porre la mano – «la mano che ha fatto il grano» diceva il Re taumaturgo – sulle pance, i colpi di sonno in Parlamento, negli incontri internazionali, durante le messe di beatificazione, con le campane che facevano din-don-dan e lui lì a braccia conserte, come un bambino.
Ecco, sì, ci mancava giusto il Covid. Imminente forse la vecchia battuta: «Ho troppi impegni per partecipare al mio funerale».