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 2020  settembre 03 Giovedì calendario

Vieni, ti porto a Villa Inferno

Ciao, papà. Io esco.
Quante volte l’abbiamo sentita, questa frase? Una delle più banali e quotidiane, da registrare con la sola superficie della coscienza, alla quale, al massimo, rispondere con un distratto: non fare tardi. Eppure una frase così semplice, detta magari da una figlia o da un figlio adolescente del quale pensiamo di sapere tutto, inclusi i nomi e le facce degli amici di sempre, quelli che girano per casa da una vita, può essere la più terribile delle minacce, la più atroce delle angosce. Perché, a pensarci, basta poco. Basta così poco a ritrovarsi nel pieno di un incubo, apprendendo nella più violenta delle maniere che la propria bambina, quella che fino a ieri faceva i capricci perché voleva andare al parco giochi, adesso fa parte di una schiera di silenziosi giovani fantasmi taciturni e perduti, che vogliono solo spostare il limite più in là.
L’emozione peggiore, in un genitore che legge di fatti come quello di Bologna, è l’immedesimazione; la comprensione lucida e violenta che quella scoperta, fatta da una madre e un padre all’improvviso, è tutto sommato dietro ogni angolo, in qualsiasi città di questo tempo così difficile da comprendere. Perché è facile passare dal virtuale al reale; da un mondo fatto di bei sorrisi e di spiagge assolate, di corpi curati e di allegre compagnie al buio di un luogo dal quale fuggire è impossibile, una volta entrati. È facile cadere nella rete di un uomo che sa essere carismatico e affascinante, tanto da fare di mestiere l’agente immobiliare e quindi il venditore, tanto da aver tentato l’avventura in politica, tanto insomma da saper convincere la gente a fare quello che lui vuole.
Al fascino di uno così va aggiunta l’irresistibile attrazione dell’Inferno per una ragazza che vuole spostare il limite, che vuole diventare grande in fretta, che vuole provare tutto quello che c’è da provare. “Villa Inferno”, quale posto migliore. Ti ci porto, avrà detto lui. Ci faremo una bella fattanza, che meraviglia di parola, da essere fatti, l’insulto alla lingua italiana e a ogni dignità personale, decine di persone perse in un personale paradiso sintetico e fuori dal mondo, benvenuti a “Villa Inferno”. E poi naturalmente il prezzo di quel nuovo limite, di essere diventata estrema, di poter guardare tutte le altre a scuola con la beffarda ironia di chi sa molto, di chi sa altro, di chi della vita sa ben di più. Il prezzo è il sesso, il pagamento col proprio stesso corpo in una spirale che porta nel profondo, e d’altra parte perché dovrebbe chiamarsi “Villa Inferno” se non fosse un buco nero, se non fosse la porta per andare in un abisso dal quale non c’è ritorno, nessuna redenzione?
Fa paura, di tutto questo inferno, soprattutto il silenzio. Ancora una volta, come nei delitti della porta accanto, come nelle fughe delle madri sconvolte e come nelle sparizioni degli anziani confusi che non tornano più, fa paura il silenzio. In un mondo connesso, in cui tutti crediamo di sapere tutto, chi ci è caro sprofonda nell’inferno a pochi centimetri da noi e nemmeno ce ne accorgiamo. La diciassettenne di Bologna si è fermata appena in tempo, e con il suo tremante racconto ne avrà salvate tante, dagli artigli del diavolo dal bel sorriso. Ma chissà quante, e chissà quante volte, resteranno attratte dall’abisso senza poter tornare indietro, mentre noi sorridiamo in rete di modelle antiestetiche e di politici sopra le righe, senza ascoltare il dolore prossimo venturo.
E senza alzare gli occhi dal giornale, quando qualcuno ci dice: ciao, papà. Io esco.