Avvenire, 2 settembre 2020
Biografia di Vince Lombardi
Sarà anche per il casco o il paraspalle, nessuno nutre dubbi sul fatto che il football americano sia piuttosto ruvido, muscolare e molto fisico. Può forse allora sorprendere che il più grande stratega di sempre di questo sport sia stato un uomo che confidava più nella corazza spirituale, a tal punto da dire: «Tutta la mia forza viene dalla Messa quotidiana e dalla comunione».
Lui è Vincent Thomas Lombardi, più noto come “Vince”, un nome che dice molto, moltissimo a chi mastica la Nfl (la lega professionistica Usa) ma non solo. Perché la sua popolarità negli anni Sessanta è andata ben oltre il campo da gioco e lo ha reso un’icona della cultura a stelle e strisce.
Il “coach del secolo” come l’ha incoronato nel 2000 l’emittente televisiva statunitense Espn, Lombardi ha scritto la storia con i Green Bay Packers, la squadra presa all’ultimo posto e da lui trasformata in corazzata, portandola alla vittoria di cinque campionati nazionali nell’arco di sette anni (tra cui i primi due Super Bowl, 1966 e 1967). Trionfi che lasciarono il segno: ancora oggi il trofeo consegnato ai campioni Nfl porta il suo nome (“Vince Lombardi Trophy”).
Sebbene di lì a poco, il 3 settembre del 1970, proprio cinquant’anni fa, un tumore si portò via il vulcanico allenatore all’età di 57 anni. Ma la leggenda continua e la sua storia ci appartiene, visto che Vince nacque sì nel quartiere di Brooklyn a New York ma i suoi nonni paterni venivano da Salerno e quelli materni da un paese lucano, Vietri di Potenza. Erano emigrati, come tanti, negli States, e furono loro a trasmettergli quei principi che lo avrebbero guidato per tutta la vita. Il maggiore di sei figli, tra fratelli e sorelle, Vince crebbe in una famiglia di cattolici ferventi e, prima chierichetto e poi per qualche anno anche in seminario, voleva diventare sacerdote. Giocò a baseball e a pallacanestro, ma era il football la sua vera passione sin da bambino: a 12 anni faceva già parte della squadra del quartiere. Penalizzato però dal fisico gracile, dopo essersi laureato alla Bordame Università nel 1937 e aver cominciato anche a insegnare latino e scienze nei licei, scoprì la sua vocazione in pan- china. Le frasi con cui era solito motivare i suoi giocatori sono diventate così famose tra gli sportivi che spesso ne viene omessa la fonte. «Vincere non è tutto, è l’unica cosa» è stato prima di tutto uno dei suoi motti, quello che racchiude la determinazione di un uomo che non ammetteva il secondo posto. Esigente e duro negli allenamenti, chiedeva tutto ai suoi giocatori perché tutto dava lui per la causa. Grinta, disciplina, fame di vincere: alla base del suo lavoro c’era in primis la psicologia di chi scendeva in campo, poiché la forza mentale era decisiva: «Il buon Dio ti ha dato un corpo che può sopportare quasi tutto. È la tua mente che devi convincere». Li spronava a dare il massimo anche quando sembrava impossibile: «I vincitori non abbandonano mai, quelli che abbandonano non vincono mai». E ancora: «Gli ostacoli sono ciò che vedi quando distogli lo sguardo dall’obiettivo». Sulla necessità dei sacrifici diceva: «L’unico posto in cui il successo (success) viene prima del lavoro (work) è il vocabolario». Li voleva sempre pronti al riscatto: «Il miglior talento non è quello di non cadere mai, ma di risollevarsi dopo essere caduti».
Una filosofia di vita che metteva tutti sullo stesso piano senza distinzioni di pelle in anni in cui ancora vigevano forti discriminazioni. Era certo contro il razzismo, ma semplicemente perché si sforzava di vivere il Vangelo. Una verità spesso taciuta dal sistema mediatico che ne fa un generico e strumentale paladino di “diritti civili”. Senza ricordare invece come non ci fosse giorno in cui non andasse a Messa. Le sue giornate cominciavano sempre nella parrocchia di St. Willebrord a Green Bay ( Wisconsin) e chi lo conosce bene ha voluto anche tramandare la preghiera che faceva dopo la comunione: «Signore, se dovessi morire oggi, o inaspettatamente in qualsiasi momento, vorrei ricevere questa comunione come mio viatico». In chiesa ci portava anche tutta la squadra prima di ogni partita in casa. Era animato da questa convinzione: «Quando poniamo la nostra dipendenza in Dio, siamo liberi, e non ci preoccupiamo… Questa fiducia, questa sicurezza di azione, è sia contagiosa sia un aiuto per l’azione perfetta. Il resto è nelle mani di Dio – e questo è lo stesso Dio, signori, che finora ha vinto tutte le sue battaglie». Non a caso per caricare i suoi giocatori li guardava fisso negli occhi e ripeteva loro: «Pensa solo a tre cose: il tuo Dio, la tua famiglia e i Green Bay Packers – in questo ordine». Una fede granitica che lo portò anche a far parte della confraternita cattolica dei Cavalieri di Colombo. E oggi sarebbe di sicuro felice nell’apprendere che ciò a cui teneva di più sia stato tramandato. Vince si sposò nel 1940 ed ebbe due figli, Vince Jr e Susan. Suo nipote Joe Lombardi, oggi padre di sei figli, è colui che porta avanti la saga vincente di famiglia dal momento che è stato allenatore dei quarterback dei New Orleans Saints, trionfatori nello storico Super Bowl nel 2010: «Non ho conosciuto mio nonno, perché è morto nove mesi prima della mia nascita, ma il suo cattolicesimo sopravvive in me, e questa è la cosa più preziosa».
È più viva che mai dunque la lezione di un uomo che prima di essere un coach senza eguali è stato un grande educatore, uno che aiutava gli altri ad esprimere al meglio il proprio potenziale: «È essenziale capire che le battaglie si svolgono principalmente nei cuori degli uomini – sosteneva –. Gli uomini rispondono alla leadership in modo straordinario e una volta che avrai conquistato il suo cuore, ti seguirà ovunque». Era infatti un leader indiscusso nella costruzione del gruppo. Di una delle sue squadre vincenti disse: «Non lo fecero per gloria individuale. Lo hanno fatto perché si amavano l’un l’altro». Sempre con quella consapevolezza di giocare una partita più grande, perché «dopo che tutti gli applausi sono finiti e lo stadio è vuoto, dopo che i titoli sono stati vinti e sei tornato nella quiete della tua stanza… ciò che rimane è la dedizione a fare con le nostre vite il meglio che possiamo per rendere il mondo un posto migliore in cui vivere».